Abstract
Aims: We sought to assess the proportion of patients eligible for the ISCHEMIA trial and to compare the characteristics and outcomes of these patients with those without ISCHEMIA inclusion or with ISCHEMIA exclusion criteria in a contemporary, nationwide cohort of patients with stable coronary artery disease (CAD).
Methods and results: Among the 5,070 consecutive patients enrolled in the START registry, 4,295 (84.7%) did not fulfil the inclusion criteria (ISCHEMIA-Not Included or ISCHEMIA-Unclassifiable), 582 (11.5%) had exclusion criteria (ISCHEMIA-Excluded), and the remaining 193 (3.8%) were classified as ISCHEMIA-Like. At one year, the incidence of the primary outcome, a composite of death from cardiovascular (CV) causes, myocardial infarction (MI), or hospitalisation for unstable angina and heart failure, was 0.5% in the ISCHEMIA-Like versus 3.3% in other patients (p=0.03). The composite secondary outcome of CV mortality and MI occurred in 0.5% of the ISCHEMIA-Like patients and in 1.4% of the remaining patients (p=0.1).
Conclusions: In a contemporary real-world cohort of stable CAD patients, only 4% resulted in being eligible for the ISCHEMIA trial. These patients presented an extremely low annual risk of adverse events, especially when compared with other groups of stable CAD patients.
Intervista a Leonardo De Luca
A.O. San Camillo Forlanini, Roma
Dottor De Luca, qual è il take home message dello studio?
Il messaggio principale è che, nonostante l’ISCHEMIA sia un trial estremamente ben ideato e condotto che ha generato importanti evidenze scientifiche, la sua applicabilità in un contesto clinico reale appare scarsa. Ciò è dovuto, principalmente, al fatto che una quota minoritaria di pazienti che afferiscono allo specialista cardiologo o al ricovero ospedaliero, è sottoposta, a torto o a ragione, a un test per la valutazione dell’ischemia inducibile, requisito essenziale e fondante per l’inclusione nel trial ISCHEMIA. Infatti, il background del trial ISCHEMIA era basato sull’osservazione che l’estensione e la severità potesse essere associata a un aumentato rischio di mortalità e infarto miocardico e che la rivascolarizzazione potesse migliorare la prognosi in presenza di ampie aree di ischemia miocardica.
Nella discussione del vostro lavoro, giustamente sottolinea alcune importanti distinzioni tra la popolazione arruolata nello studio ISCHEMIA e la vostra popolazione ISCHEMIA-Like inclusa nel registro STAR. Può ribadire queste differenze?
Rispetto alle caratteristiche basali dei pazienti randomizzati nel trial ISCHEMIA, la nostra popolazione ISCHEMIA-Like era più anziana (età mediana 67 vs 64 anni) e presentava una maggiore incidenza di pregresso infarto miocardico (53% vs 19%) e storia di rivascolarizzazione (61% vs 25%) ma meno diabete mellito (29% vs 42%) e malattia coronarica trivasale (12% vs 40%). Quest’ultima differenza può essere correlata al fatto che l’eleggibilità per la randomizzazione all’ISCHEMIA attraverso coroTC richiedeva la documentazione di una stenosi ≥70% in una coronaria maggiore che non fosse il tronco comune. Di conseguenza, la maggioranza dei pazienti dell’ISCHEMIA trial presentava un’estesa coronaropatia. Ciò potrebbe ulteriormente spiegare la differenza negli outcome a 1 anno osservata tra il trial ISCHEMIA e la nostra popolazione ISCHEMIA-Like. Infatti, nel trial ISCHEMIA la ricorrenza degli eventi ischemici e la prognosi erano maggiormente correlati all’estensione della coronaropatia piuttosto che all’entità dell’ischemia inducibile, come già precedentemente dimostrato.
Sorprende la bassissima percentuale di eventi che compongono l’outcome primario a un anno del vostro studio (sostanzialmente analogo a quello dello studio ISCHEMIA). Come lo spiega? Di questi, quanti pazienti erano stati rivascolarizzati?
Si, i pazienti ISCHEMIA-Like arruolati nel registro START presentavano un’incidenza di eventi inclusi nell’outcome primario (lo stesso dell’ISCHEMIA) pari allo 0.5% a un anno (rispetto al 3.3%/anno dei pazienti dello START senza criteri di inclusione o con almeno un criterio di esclusione dell’ISCHEMIA). Ovviamente il confronto con l’ISCHEMIA in termini di outcome non è attuabile in quanto noi abbiamo solo valutato l’applicabilità dei criteri dell’ISCHEMIA in una popolazione di mondo reale e non avevamo l’ambizione di riprodurre il trial ISCHEMIA. Infatti, ad esempio, il nostro follow-up è molto più breve rispetto al trial ISCHEMIA e non tutti i nostri pazienti sono stati sottoposti a PCI ma solo il 50% degli ISCHEMIA-Like inclusi nel nostro registro.
Come ben dimostrato nel vostro studio, i pazienti ISCHEMIA-Like rappresentano una percentuale molto bassa di soggetti con coronaropatia stabile (o sindrome coronarica cronica secondo le linee guida della Società Europea di Cardiologia) e che vediamo nei nostri ambulatori. Tuttavia essi rappresentano tuttora una “sfida” per il cardiologo. Crede che lo studio ISCHEMIA, non dimostrando una superiorità della strategia invasiva, possa modificare l’approccio clinico a questi pazienti?
No, non credo. Ribadendo l’elevato valore scientifico dell’ISCHEMIA, credo che questo trial, così come accadde dopo il COURAGE, non modificherà la nostra pratica clinica e l’utilizzo dell’angioplastica nei pazienti con sindromi coronariche croniche (SCC), quantomeno in Italia e nei Paesi europei ove non vige un rimborso assicurativo sulla base dell’indicazione né tantomeno un controllo sull’appropriatezza delle procedure. In tal senso, ritengo che la comunità cardiologica italiana sia ben cosciente che, nei pazienti con SCC, le procedure di PCI sempre associate alla terapia farmacologica ottimale, vengono effettuate, nella stragrande maggioranza dei casi, col solo scopo di ridurre la sintomatologia anginosa e migliorare la qualità della vita dei nostri pazienti che credo, a oggi, debba essere la sola indicazione appropriata in questo ambito e non per migliorarne la prognosi.
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