Abstract
Background: It remains unclear whether P2Y12 inhibitor monotherapy preserves ischemic protection, while limiting bleeding risk compared with dual antiplatelet therapy (DAPT) after complex percutaneous coronary intervention (PCI).
Objectives: We sought to assess the effects of P2Y12 inhibitor monotherapy after 1-month to 3-month DAPT vs standard DAPT in relation to PCI complexity.
Methods: We pooled patient-level data from randomized controlled trials comparing P2Y12 inhibitor monotherapy and standard DAPT on centrally adjudicated outcomes after coronary revascularization. Complex PCI was defined as any of 6 criteria: 3 vessels treated, ≥3 stents implanted, ≥3 lesions treated, bifurcation with 2 stents implanted, total stent length >60 mm, or chronic total occlusion. The primary efficacy endpoint was all-cause mortality, myocardial infarction, and stroke. The key safety endpoint was Bleeding Academic Research Consortium (BARC) 3 or 5 bleeding.
Results: Of 22,941 patients undergoing PCI from 5 trials, 4,685 (20.4%) with complex PCI had higher rates of ischemic events. The primary efficacy endpoint was similar between P2Y12 inhibitor monotherapy and DAPT among patients with complex PCI (HR: 0.87; 95% CI:0.64-1.19) and noncomplex PCI (HR: 0.91; 95% CI: 0.76-1.09; Pinteraction = 0.770). The treatment effect was consistent across all the components of the complex PCI definition. Compared with DAPT, P2Y12 inhibitor monotherapy consistently reduced BARC 3 or 5 bleeding in complex PCI (HR: 0.51; 95% CI: 0.31-0.84) and noncomplex PCI patients (HR: 0.49; 95% CI: 0.37-0.64; Pinteraction=0.920).
Conclusions: P2Y12 inhibitor monotherapy after 1-month to 3-month DAPT was associated with similar rates of fatal and ischemic events and lower risk of major bleeding compared with standard DAPT, irrespective of PCI complexity. (PROSPERO [P2Y12 Inhibitor Monotherapy Versus Standard Dual Antiplatelet Therapy After Coronary Revascularization: Individual Patient Data Meta-Analysis of Randomized Trials]; CRD42020176853).
Intervista a Felice Gragnano
Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, Napoli; Divisione di Cardiologia Clinica a Direzione Universitaria, AORN “Sant’Anna e San Sebastiano”, Caserta
Dottor Gragnano, ci può indicare i dati principali e i punti di forza del vostro studio?
Il nostro studio è una meta-analisi a livello del paziente che ha valutato la sicurezza e l’efficacia della monoterapia con inibitori del P2Y12 (P2Y12-I) dopo 1-3 mesi di doppia terapia antiaggregante (DAPT), rispetto a una DAPT standard in pazienti sottoposti ad angioplastica (PCI) complessa. Grazie all’intensa collaborazione di un ampio gruppo di ricercatori (Sidney-2 Collaboration), abbiamo raccolto e analizzato i dati individuali dei pazienti inclusi in 5 trial clinici randomizzati contemporanei condotti in Asia, Europa e Nord America. La PCI complessa è stata definita in presenza di almeno uno dei seguenti criteri: 3 vasi trattati, ≥3 stent impiantati, ≥3 lesioni trattate, biforcazione trattata con impianto di 2 stent, lunghezza totale degli stent >60 mm, o trattamento di un’occlusione totale cronica. Dei 22.941 pazienti inclusi nella meta-analisi, circa un quinto (N=4.685) è stato sottoposto a PCI complessa; come atteso, questi pazienti presentavano una più alta incidenza di eventi ischemici, rispetto a quelli sottoposti a PCI non complessa. La monoterapia con P2Y12-I era associata a un rischio di eventi ischemici simile alla DAPT standard, con un effetto consistente nei pazienti con PCI complessa (hazard ratio [HR]: 0.87; 95% CI: 0.64-1.19) e PCI non complessa (HR: 0.91; 95% CI: 0.76- 1.09; p-interazione=0.770). La protezione antiischemica offerta dalla monoterapia con P2Y12-I era indipendente dalla presentazione clinica e dal grado di complessità della procedura (definita dal tipo e dal numero di criteri di PCI complessa). Il rischio di emorragie maggiori risultava dimezzato con la monoterapia con P2Y12-I rispetto alla DAPT standard, e gli eventi clinici avversi netti (NACE) erano ridotti di circa il 25%, con un effetto simile nei pazienti con PCI complessa e non complessa. Questi risultati indicano che sospendere l’ASA dopo 1-3 mesi di DAPT e proseguire con una monoterapia con P2Y12-I è sicuro ed efficace nei pazienti sottoposti a PCI complessa. Molti sono i punti di forza della nostra metaanalisi, tra cui (i) la valutazione dei dati individuali di un’ampia popolazione di >22.000 pazienti, che ha permesso un’analisi più accurata e affidabile rispetto alle precedenti meta-analisi a livello di studio, e (ii) l’inclusione di trial clinici randomizzati che prevedevano un’aggiudicazione indipendente degli eventi clinici, che garantisce elevati standard di qualità nella valutazione degli endpoint ischemici ed emorragici. Queste caratteristiche rendono i risultati del nostro studio robusti dal punto di vista metodologico e rilevanti per la pratica clinica.
I dati sono molto convincenti. Circa la metà degli eventi ha luogo nei primissimi mesi dopo la PCI, quando tutti i pazienti sono in DAPT e proseguire questa strategia terapeutica aumenta solo il rischio di bleeding senza diminuire il rischio trombotico. Pensa che la “short DAPT” seguita da monoterapia con inibitore P2Y12 dovrebbe, quindi, essere la strategia di prima scelta in tutti i pazienti sottoposti a PCI (qualunque sia la indicazione clinica e la complessità della procedura), oppure è un’opzione adatta a una popolazione selezionata?
I risultati di questa meta-analisi suggeriscono che una strategia terapeutica con una DAPT iniziale di 1-3 mesi, seguita da una monoterapia con P2Y12-I potrebbe rappresentare il nuovo regime terapeutico di prima scelta (“standard”) dopo PCI, anche in caso di procedure complesse. È importante sottolineare come questa meta-analisi non si sia concentrata sui pazienti a elevato rischio emorragico. Per questo motivo, una strategia di short DAPT, seguita da una monoterapia con P2Y12-I dovrebbe essere considerata in tutti i pazienti e non riservata a quelli ad alto rischio di sanguinamento (pur potendo prevedere che questo gruppo possa giovarsi maggiormente di tale strategia per la riduzione assoluta del rischio di eventi emorragici). Su tali premesse, è importante considerare che, come spesso accade in medicina, ogni paziente deve essere valutato sulla base del proprio rischio ischemico ed emorragico che tende a modificarsi nel tempo. Pertanto, le nostre scelte terapeutiche devono essere sempre individualizzate in ciascun paziente e rivalutate (ed eventualmente modificate) nel corso del follow-up.
Nella vostra casistica la monoterapia con inibitore P2Y12 è stata condotta sia con ticagrelor che con clopidogrel. È indifferente questa scelta, oppure pensa che possano essere date indicazioni più precise quando preferire l’uno o l’altro farmaco?
Sappiamo che gli inibitori orali del P2Y12 (ticagrelor, prasugrel e clopidogrel) hanno profili di sicurezza ed efficacia differenti. Pertanto, nonostante oggi si parli spesso di monoterapia con P2Y12-I immaginando un “effetto di classe” di tale strategia, è più probabile che l’effetto del trattamento dipenda dal tipo di farmaco antiaggregante utilizzato dopo la sospensione dell’ASA. Se guardiamo ai dati attualmente disponibili in letteratura, una monoterapia con ticagrelor dopo 1-3 mesi di DAPT appare come una strategia in grado prevenire le ricorrenze ischemiche e di ridurre i sanguinamenti in un ampio setting di pazienti sottoposti a PCI, compresi quelli a elevato rischio ischemico. Al contrario, l’utilizzo di una monoterapia con clopidogrel dopo una short DAPT potrebbe essere insufficiente a garantire un’adeguata protezione anti-ischemica nei pazienti con recente sindrome coronarica acuta, come dimostrato dallo STOPDAPT-2 ACS trial. Per prasugrel, le evidenze disponibili sono ancora limitate e non è possibile dare un giudizio conclusivo sulla monoterapia con questo farmaco. A oggi, se l’effetto della monoterapia con P2Y12-I dipenda dal tipo di farmaco con cui si prosegue la terapia antiaggregante dopo la sospensione dell’ASA (ticagrelor, prasugrel o clopidogrel) rimane da chiarire. In questo contesto, stiamo lavorando a una nuova meta-analisi (Sidney-3; PROSPERO: CRD42022347824) con l’obiettivo di rispondere a questa domanda, che è centrale per l’applicazione della monoterapia con P2Y12-I nella pratica clinica.
Quale vantaggio offre la monoterapia con inibitore P2Y12 rispetto alla monoterapia con ASA? E se vi sono tali vantaggi, questa terapia deve estendersi anche oltre il primo anno di follow-up?
L’ASA rappresenta da oltre 3 decenni il paradigma del trattamento dei pazienti con malattia coronarica. Tuttavia, negli ultimi anni, il ruolo dell’ASA come farmaco irrinunciabile nella prevenzione cardiovascolare è stato messo in discussione. È noto, infatti, come un numero rilevante di pazienti in terapia cronica con ASA vada incontro a sanguinamenti maggiori (soprattutto gastrointestinali). Inoltre, i dati a supporto dell’ASA derivano da studi clinici condotti negli anni ’70-80 e non è chiaro se tali risultati rimangano validi e applicabili nella pratica contemporanea che si è arricchita di nuove strategie di prevenzione cardiovascolare. In tale contesto, i risultati di una serie di studi clinici (dal CAPRIE al più recente HOSTEXAM) suggeriscono che la monoterapia con P2Y12-I potrebbe essere superiore all’ASA per la prevenzione delle ricorrenze ischemiche nei pazienti con malattia coronarica. Per valutare in modo comprensivo le evidenze disponibili, abbiamo recentemente condotto una metanalisi a livello del paziente che ha incluso trial clinici randomizzati (PANTHER; PROSPERO: CRD42021290774). Lo studio, presentato al Congresso ESC 2022, ha confrontato l’effetto della monoterapia con P2Y12-I versus ASA in >24,000 pazienti con malattia coronarica. A un follow-up mediano di 1.5 anni, il rischio relativo dell’endpoint primario (un composito di morte cardiovascolare, infarto miocardico e ictus) risultava ridotto del 12% nei pazienti trattati con P2Y12-I, con un beneficio guidato da una riduzione di oltre il 20% del rischio di infarto miocardico. Tale beneficio anti-ischemico dei P2Y12-I si accompagnava, inoltre, a una riduzione dei sanguinamenti gastrointestinali e intracranici con importanti implicazioni pratiche. Complessivamente, le attuali evidenze mettono quindi in discussione il ruolo centrale dell’ASA nella prevenzione cardiovascolare secondaria e supportano un possibile cambio di paradigma verso l’utilizzo della monoterapia con P2Y12-I come strategia di prima scelta per il trattamento a lungo termine dei pazienti con malattia coronarica.
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