Stefano De Servi, Università degli Studi di Pavia
Inquadramento
L’efficacia e sicurezza della terapia anticoagulante con anticoagulanti diretti (DOAC) nei pazienti anziani fragili in fibrillazione atriale (AF), non è nota. Questi pazienti non sono stati inclusi nei trial di confronto con warfarin e non pochi dubbi sorgono nel praticare una terapia anticoagulante per la coesistenza di morbilità, spesso di deficit cognitivi e nell’alto rischio di bleeding e di cadute[1]Diemberger I, Fumagalli S, Mazzone AM, et al. Perceived vs. objective frailty in patients with atrial fibrillation and impact on anticoagulant dosing: an ETNA-AF- Europe sub-analysis. EP Eurpace … Continua a leggere.
Lo studio in esame
Lo studio, basato su registri sanitari e amministrativi che includono tutta la popolazione danese, ha individuato 32.048 pazienti fragili, osservati tra il gennaio 2012 e fine dicembre 2020, che per la presenza di AF avevano iniziato una terapia anticoagulante con DOAC a dose piena (16.122, pari al 50,3%) o ridotta (9.179, pari al 28,6%), oppure con warfarin (6.747, pari al 21,1%). Venivano esclusi i pazienti con controindicazioni all’uso di DOAC (portatori di valvole meccaniche, stenosi mitralica, insufficienza renale in dialisi o GFR <20 ml/min/1,73m2) e i pazienti già in terapia anticoagulante. La presenza di fragilità era stata diagnosticata sulla base di 109 condizioni patologiche concomitanti o pregresse, a ognuna delle quali veniva attribuito un punteggio variabile tra 0,1 (febbre di origine ignota) e 7,1 (demenza in morbo di Alzheimer): uno score tra 5 e 15 indicava fragilità intermedia; oltre 15 fragilità alta. I tre gruppi venivano paragonati con la metodologia dell’“inverse probability of treatment weighting”, basato sull’analisi del propensity score. Il confronto tra warfarin e dose ridotta di DOAC veniva limitato ai pazienti con età >80 anni e/o insufficienza renale. I pazienti con DOAC a dose ridotta avevano un’età mediana più alta rispetto ai trattati con dose standard (87 vs 75 anni), erano prevalentemente donne (64,8% vs 48% per warfarin e per dose standard DOAC) e un CHA2 DS2 -VASc score mediano più alto (5 vs 4 per DOAC standard e warfarin). Nei tre gruppi prevalevano i pazienti a fragilità intermedia (ma l’incidenza di fragilità alta era maggiore tra quelli in terapia con DOAC a dose ridotta (22,1% vs 12,7% e 12,3%). A un follow-up di 1 anno, non vi era differenza (anche stratificando per la presenza di fragilità) nel rischio tromboembolico tra pazienti in dose standard DOAC o warfarin e tra pazienti a dose ridotta DOAC o warfarin (vedi Tabella). Il bleeding maggiore (emorragia cerebrale o gastro-intestinale) risultava significativamente ridotto rispetto a warfarin sia per la dose standard, che per quella ridotta. Venivano osservate ampie differenza nel paziente ad alta fragilità (Tabella).
Take home message
I risultati indicano che, in una popolazione fragile con fibrillazione atriale, l’utilizzo di DOAC sia a dose standard che ridotta non modifica rispetto a warfarin il rischio tromboembolico, mentre riduce il rischio emorragico.
Interpretazione dei dati
L’interesse dei dati presentati in questo studio risiede nella selezione dei pazienti considerati (tutti con presenza di fragilità) e la successiva loro stratificazione in base all’intensità di tale caratteristica, ulteriormente distinta in intermedia e alta. È infatti un concetto acquisito che il rischio di mortalità e di morbilità della popolazione anziana varia a seconda della presenza o meno di fragilità che rende i pazienti più suscettibili a eventi morbosi e più vulnerabili in presenza di una condizione di malattia acuta o permanente. Per i pazienti in terapia anticoagulante, il rischio di errori nel dosaggio dei farmaci, soprattutto in presenza di un deficit cognitivo anche iniziale e di cadute quando il paziente non è sufficientemente energico o completamente autonomo, aumenta notevolmente il potenziale danno emorragico associato a un evento avverso. Poi, la mancanza di dati specifici in questa popolazione anziana, non inserita nei grandi trial randomizzati, rende ancor più difficile ogni scelta terapeutica. I dati di questo studio sembrano indicare un vantaggio dall’utilizzo di DOAC, confermando anche in questi pazienti a rischio la maggior safety dell’uso di DOAC rispetto a warfarin. Non vanno tuttavia dimenticati i limiti dello studio, osservazionale e costruito su registri sanitari e amministrativi, le cui informazioni possono essere incomplete e la metodologia utilizzata per la diagnosi di fragilità, discutibilmente basata sulla somma di una serie di comorbilità. Inoltre, non tutti i pazienti inclusi in questa analisi erano “naif” alla terapia anticoagulante: per coloro già in trattamento con warfarin vanno ricordati i risultati dello studio olandese FRAIL-AF[2]Joosten LPT, Van Doorn S, Van De Ven PM, et al. Safety of switching from a vitamin K antagonist to a non-vitamin K antagonist oral anticoagulant in frail older patients with atrial fibrillation: … Continua a leggere che ha randomizzato pazienti anziani fragili, già in terapia con warfarin (e con TTR compreso tra 65% e 74%) a proseguire tale terapia o a “switchare” a DOAC. Quest’ultima scelta ha condotto a un maggior rischio emorragico (rispetto a una continuazione con warfarin) senza alcun vantaggio in termini di rischio tromboembolico.
Bibliografia[+]
↑1 | Diemberger I, Fumagalli S, Mazzone AM, et al. Perceived vs. objective frailty in patients with atrial fibrillation and impact on anticoagulant dosing: an ETNA-AF- Europe sub-analysis. EP Eurpace 2022; 24:1404–1411 |
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↑2 | Joosten LPT, Van Doorn S, Van De Ven PM, et al. Safety of switching from a vitamin K antagonist to a non-vitamin K antagonist oral anticoagulant in frail older patients with atrial fibrillation: results of the FRAIL-AF ran- domized controlled Trial. Circulation 2023. https://10.1161/CIRCULATIONAHA.123.066485 |
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