Quali informazioni aggiuntive rispetto alla fractional flow reserve (FFR) può fornire la misurazione della riserva coronarica di flusso (CFR)? La risposta dal DEFINE-FLOW study.

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Indice

Inquadramento

Benchè numerosi studi indichino che la misurazione della CFR, (il rapporto tra flusso iperemico e flusso basale ottenuto con una serie di metodi invasivi e non-invasivi) abbia un indubbio valore prognostico[1]Horton JD, Cohen JC, Hobbs HH. PCSK9: a convertase that coordinates LDL catabolism. J Lipid Res 2009;50 Suppl:S172–S177., essa non viene utilizzata routinariamente in quanto le viene preferita la misurazione della FFR. I risultati delle due tecniche differiscono nel 40% dei casi e il loro utilizzo contemporaneo potrebbe dare informazioni molto utili al clinico nella scelta di rivascolarizzare o meno una stenosi. Non esistono in letteratura ampi studi policentrici che abbiano confrontato i risultati di CFR e FFR misurate simultaneamente e ne abbiano valutato il valore prognostico nel tempo.

Lo studio in esame

Lo studio ha arruolato 455 pazienti (668 stenosi coronariche indagate) con coronaropatia stabile da 12 sedi in 6 differenti paesi. L’ipotesi da verificare nello studio era che i pazienti con FFR ≤0.8, ma con CFR conservata (≥2) in terapia medica avessero un outcome non inferiore rispetto ai pazienti che presentassero stenosi sia con FFR (>0.8) che CFR conservata. Infatti il disegno dello studio prevedeva che la rivascolarizzazione venisse eseguita solo se entrambe le tecniche concordassero nell’indicare la presenza di stenosi significativa (FFR ≤0.8 e CFR<2). Nel 14% delle lesioni la CFR risultava normale (≥2) pur in presenza di FFR ≤0.8, mentre nel 23% la CFR risultava patologica (<2) pur in presenza di una FFR >0.80. A 2 anni di follow-up l’endpoint primario (morte, infarto e rivascolarizzazione) dei pazienti con lesioni FFR >0.8 e CVR >2 risultava del 10.8% mentre nei pazienti con lesioni FFR >0.8 e CVR >2 era del 6.2%, con una differenza il cui intervallo maggiore di confidenza eccedeva il margine di non-inferiorità fissato al +10% (vedi Tabella). Inoltre, solo una FFR >0.8 si associava a un minor target vessel failure (infarto miocardico della lesione target e rivascolarizzazione della lesione e/o del vaso target).

Take home message

La non-inferiorità relativa all’endpoint composito (morte, infarto e rivascolarizzazione) dei pazienti con FFR>0.8 e CFR discordante (≥2) rispetto ai pazienti con FFR>0.8 e CFR concordante (≥2) non è stata raggiunta. La rivascolarizzazione, perciò, non va differita sulla base di un normale valore di CFR se la FFR indica la presenza di una stenosi significativa.

Interpretazione dei dati

Gli Autori notano come i risultati ottenuti non confermino il dato intuitivo che una riserva coronarica normale possa evitare una target vessel failure in presenza di una FFR ridotta. Essi ipotizzano che un flusso adeguato (così da avere una riserva coronarica normale) attraverso una stenosi produce un gradiente pressorio che si associa a un aumentato stress di parete che determina un’usura della placca (“plaque fatigue”) rendendola vulnerabile. Tra le limitazioni dello studio gli Autori segnalano la rivascolarizzazione quale evento numericamente più rappresentato nell’endpoint primario, la mancanza di cecità dei pazienti e degli operatori riguardo al risultato dei parametri indagati (ad esempio una violazione di protocollo è stata osservata in 12 pazienti con FFR ≤0.8 e CFR conservata (≥2) che sono stati rivascolarizzati contravvenendo il disegno dello studio che prevedeva per tutti questi pazienti l’iniziale trattamento medico).

L’opinione di Antonio Maria Leone

Responsabile Percorso Sindromi Coronariche Croniche Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS Roma

Nel 1974 K Lance Gould propose la Coronary Flow Reserve (CFR) come misura della riserva coronarica per descrivere il rapporto tra il grado di severità della stenosi e la riduzione del flusso coronarico. Quella relazione, per la quale fino a una riduzione di 50% del calibro non c’è consumo della riserva coronarica, è entrata così tanto nel bagaglio culturale del cardiologo, in particolare interventista, da far nascere il malinteso che fosse più importante la misura anatomica del lume della riduzione stessa del flusso coronarico. Questo accadde nonostante tale relazione fosse stata documentata con rigore solo nell’animale sperimentale e mancasse di una documentazione solida nell’essere umano. Nel corso degli anni innumerevoli sono stati i tentativi di traslare in vivo, nell’essere umano, il concetto di CFR misurata come flusso iperemico/flusso basale. Al di là delle limitazioni tecniche degli strumenti tecnici utilizzati (che fossero guide intracoronariche munite di sensore doppler o termodiluizione), la CFR ha sofferto sempre di una limitazione intrinseca dovuta alla sua dipendenza stretta dal flusso basale. Se il flusso basale è incrementato, per qualunque ragione fisiologica o patologica la CFR può risultare inappropriatamente alterata. Inoltre, essendo una misura globale della funzione del circolo coronarico, essa non può discernere l’impatto della malattia epicardica da quella del microcircolo e molto più pragmaticamente non sembra riuscire ad aiutare il cardiologo interventista a stabilire se una stenosi intermedia è da trattare o no. Per questo motivo negli anni ’90 Bernard De Bruyne e Nico Pijls hanno proposto l’FFR. L’FFR è il rapporto tra il flusso miocardico massimo in presenza della stenosi e lo stesso flusso se ipoteticamente quella stenosi fosse assente ed è facilmente calcolabile dal rapporto tra la pressione distale alla stenosi e la pressione prossimale in corso di iperemia massimale. Nel tempo, però, all’affermarsi dell’FFR come gold standard per la valutazioni delle stenosi, si sono contrapposti alcuni Autori, specialisti della valutazione funzionale invasiva, che hanno continuato a sostenere l’utilità, e per certi aspetti, la superiorità della vecchia e cara CFR sull’FFR. In particolare è stato più volte sostenuto che anche in presenza di una FFR≤0.80 una CFR normale (>2.0) conferisca una prognosi così buona da non richiedere una rivascolarizzazione. Su questa ipotesi è stato condotto lo studio DEFINE-FLOW che ha confrontato l’outcome di pazienti con indici concordemente non patologici (FFR>0.80 e CFR>2), con quello di pazienti con indici discordanti. Sono stati arruolati 430 pazienti, suddivisi sulla base dei dati FFR e CFR in 4 sottogruppi. La rivascolarizzazione era indicata solo nei pazienti con indici concordatamente patologici (FFR≤0.80 e CFR≤2) mentre in tutti gli altri gruppi, incluso quello con FFR≤0.80 ma CFR>2, era raccomandato il differimento del trattamento. Di fatto, come previsto quasi il 40% delle lesioni vedevano una discordanza tra FFR e CFR. Inoltre, a dispetto del protocollo una quota non trascurabile di lesioni con FFR≤0.80 ma CFR>2 (12 su 74) andavano incontro a rivascolarizzazione. Nonostante il tasso generale di eventi si sia mantenuto piuttosto basso, prevalentemente rappresentato da rivascolarizzazioni del vaso target, in merito all’endpoint primario i risultati hanno mostrato che, contrariamente all’ipotesi di partenza, i pazienti con FFR≤0.80 e CFR>2 hanno significativamente più eventi rispetto al gruppo di controllo rappresentato dai pazienti con valori di FFR e CFR concordemente non patologici (10.8% vs. 5.3% a 2 anni). Interessante anche il rilievo che il tasso di eventi si mantiene similmente elevato anche nei pazienti con valori di CFR patologici ma FFR >0.80. In conclusione, questo studio, per quanto di piccole dimensioni e con un tasso di eventi (in particolare “hard”) ridotto, suggerisce che l’introduzione della CFR, nelle valutazioni funzionali, non aggiunga molto alla capacità predittiva dell’FFR almeno quando questa è patologica. Il motivo per cui ciò si verifichi non è chiaro, da una parte è possibile che il tasso di rivascolarizzazione a distanza sia influenzato dalla nozione che l’FFR è patologica e quindi chi gestisce il paziente al follow up sia influenzato da questo dato per procedere a una rivascolarizzazione del vaso target. D’altra parte si può anche speculare che le lesioni con CFR preservata, ma ancora FFR patologica siano quelle più pronte a una rottura meccanica per stress legato all’accelerazione del flusso. Di fatto, però, l’assenza di un chiaro eccesso di eventi acuti – tipo infarto – sembra poter rassicurare almeno in questo. Ciò che appare meritevole di attenzione è che anche i pazienti con FFR non patologica, ma CFR alterata vadano incontro a un tasso di eventi maggiore. Sebbene questi non rappresentassero il focus del DEFINE FLOW, mirato se mai a identificare una popolazione ristretta in cui ridurre ulteriormente l’indicazione alla rivascolarizzazione, sarebbe interessante verificare se una rivascolarizzazione di lesioni intermedie con FFR non patologica, ma CFR ridotta, possa ridurre questo tasso di eventi inaspettatamente elevato. Ciò potrebbe nascondere una componente microvascolare sottostante che limita la vasodilatazione con adenosina, capace di produrre una FFR falsamente negativa e quindi differire una rivascolarizzazione altrimenti indicata. Questo spunto aprirebbe l’uso di un approccio di “Full Physiology” quale quello che si sta mettendo in campo negli ultimi anni con le guide di pressione/termodiluizione, capaci di identificare facilmente non solo la malattia epicardica ma anche quella microcircolatoria, tramite l’utilizzo dell’indice di resistenza microvascolare.

Bibliografia

Bibliografia
1 Horton JD, Cohen JC, Hobbs HH. PCSK9: a convertase that coordinates LDL catabolism. J Lipid Res 2009;50 Suppl:S172–S177.

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