Rivascolarizzazione completa nel paziente con coronaropatia stabile: un’analisi dello studio ischemia

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Indice

Inquadramento

L’impatto prognostico di una rivascolarizzazione completa nei pazienti con sindrome coronarica acuta è ben noto e comprovato da studi randomizzati[1]Mehta SR, Wood DA, Storey RF, et al. Complete revascularization with multivessel PCI for myocardial infarction. N Engl J Med. 2019;381:1411-1421., mentre la sua importanza nei pazienti con cardiopatia ischemica cronica è tuttora dibattuto. Il miglior risultato clinico a distanza ottenuto con l’intervento di bypass aortocoronarico rispetto alla PCI, è stato proprio attribuito alla maggiore capacità dell’intervento cardiochirurgico di ottenere una rivascolarizzazione completa[2]Garcia S, Sandoval Y, Roukoz H, et al. Outcomes after complete versus incomplete revascularization of patients with multivessel coronary artery disease: a meta-analysis of 89,883 patients enrolled in … Continua a leggere, ma l’impatto di quest’ultima in un confronto tra strategia conservativa e invasiva non è mai stato dimostrato.

Lo studio in esame

Analisi condotta in 2.296 pazienti randomizzati nel braccio “invasivo” dello studio ISCHEMIA (si ricordi che criteri di esclusione dallo studio erano rappresentati da angina severa, FE <35%, classe NYHA III-IV, GFR <30 ml/min/1.73m2, ACS entro due mesi, e per questa analisi precedente bypass aortocoronarico e indisponibilità di immagini cine-angiografiche per la verifica della completezza o meno della rivascolarizzazione). Sono state considerate due definizioni di rivascolarizzazione completa: anatomica (ACR: ogni stenosi all’analisi quantitativa – QCA – ≥50% in ogni vaso di almeno 2 mm di diametro) e una funzionale (FCR: basata su test di fisiologia intracoronarica o presenza di ischemia al test di imaging provocativo o al test ergometrico in presenza di stenosi di severità crescente). Erano state ottenute ACR e FCR nel 43.4% e 58.4% rispettivamente in 1.824 pazienti inclusi nel braccio invasivo nei quali la valutazione sull’entità della rivascolarizzazione era stata possibile (PCI eseguita nel 72% dei casi, bypass nel 26%, ibrida nei restanti). ACR si associava a una riduzione dell’endpoint primario di questa analisi (morte cardiovascolare o infarto miocardico a 4 anni di follow-up,) rispetto ai pazienti con rivascolarizzazione incompleta. I predittori indipendenti di ACR e FCR sono mostrati nella Tabella. Utilizzando la tecnica statistica dell’inverse probability weighted modeling (per aggiustare la scelta non randomizzata di ottenere una rivascolarizzazione completa), ACR nei 2.296 pazienti del gruppo invasivo (di cui 58.5% trattati con PCI, 21.3% con bypass, 1.2 con procedure ibride e 19.1% con terapia medica) si associava a un ridotto endpoint primario a 4 anni, rispetto a 2.498 pazienti del gruppo conservativo (differenza -3.5%; 95% CI: da -7.2% a 0.0%). Il risultato relativo a FCR non era invece statisticamente significativo (differenza -2.7%; 95% CI: da -5.9% a + 0.3%).

Take home message

L’outcome di una strategia invasiva migliora perseguendo una rivascolarizzazione completa, soprattutto se di tipo anatomico.

Interpretazione dei dati

Gli Autori sottolineano gli aspetti principali della ricerca:

  1. la percentuale di pazienti con rivascolarizzazione completa, sia essa anatomica o funzionale, appare modesta, tra il 40% e il 60% dei casi;
  2. la rivascolarizzazione completa è più probabile quando meno estesa è la coronaropatia, così come in presenza di stenosi del tronco comune, malattia prossimale della discendente anteriore, diabete mellito e se il paziente è operato piuttosto che sottoposto a PCI;
  3. tra i pazienti sottoposti a strategia invasiva, una rivascolarizzazione completa è risultata significativamente associata a una riduzione dell’endpoint primario dello studio (morte cardiovascolare e infarto);
  4. in una simulazione statistica, una strategia invasiva in cui tutti i pazienti potevano ricevere una rivascolarizzazione completa ha ridotto lo stesso endpoint del 3.5% nei confronti di una strategia conservativa (la riduzione effettiva è stata del 2.4% nello studio ISCHEMIA);
  5. il beneficio è stato maggiore perseguendo una rivascolarizzazione anatomica piuttosto che funzionale.

La maggiore novità dello studio consiste in una analisi statistica piuttosto complessa che ha riprodotto gli esiti dello studio ISCHEMIA in uno scenario ipotetico in cui una rivascolarizzazione completa potesse essere effettuata in tutti i pazienti randomizzati alla strategia invasiva. Si tratta, in realtà, quasi di un esercizio virtuosistico non reale, se si considera, come peraltro riconoscono gli stessi Autori, che non viene considerato il prezzo da pagare per raggiungere quel risultato (un aumento ad esempio degli infarti periprocedurali dovendo trattare lesioni complesse) e che in ogni caso (ecco il punto dolente dello studio ISCHEMIA!) una riduzione di morte cardiovascolare e infarto non si accompagna a una diminuzione di mortalità per ogni causa.

Bibliografia

Bibliografia
1 Mehta SR, Wood DA, Storey RF, et al. Complete revascularization with multivessel PCI for myocardial infarction. N Engl J Med. 2019;381:1411-1421.
2 Garcia S, Sandoval Y, Roukoz H, et al. Outcomes after complete versus incomplete revascularization of patients with multivessel coronary artery disease: a meta-analysis of 89,883 patients enrolled in randomized clinical trials and observational studies. J Am Coll Cardiol. 2013;62:1421-1431.

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