Insufficienza cardiaca e cardiomiopatie

Great debate: in patients with decompensated Heart Failure, Acetazolamide in addition to loop diuretics is the first choice

Pur essendo la terapia diuretica un pilastro fondamentale del trattamento farmacologico dello scompenso cardiaco, la ricerca clinica al riguardo è piuttosto modesta e non ha modificato negli anni le Linee Guida. Esse raccomandano un utilizzo di diuretici dell’ansa per via endovenosa come terapia di attacco, suggerendo un’associazione con diuretici tiazidici nei casi in cui vi sia una resistenza a questo trattamento per la riduzione dell’edema. Nel 2022, tuttavia, sono stati presentati tre studi che hanno verificato gli effetti dell’aggiunta a diuretici dell’ansa di diuretici che agiscano con un meccanismo differente: tra questi lo studio ADVOR ha mostrato una più accentuata riduzione della congestione e una più efficace diuresi associando per 3 giorni l’inibitore dell’anidrasi carbonica acetazolamide ai diuretici dell’ansa. Per altro sono stati ottenuti buoni risultati clinici anche quando l’associazione si basava sull’utilizzo di idroclorotiazide (studio CLOROTIC) e soprattutto quando veniva associato, peraltro a paziente stabilizzato, empaglifozin (studio EMPULSE).

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Resincronizzazione cardiaca: in quali pazienti è più efficace?

Benchè la terapia di resincronizzazione cardiaca (CRT) sia ampiamente utilizzata nei pazienti scompensati con disfunzione ventricolare sinistra e QRS prolungato, un terzo dei pazienti non ottiene alcun beneficio da tale trattamento. Gli studi randomizzati sulla CRT hanno incluso pazienti con durata di QRS ≥120 ms, tuttavia i migliori risultati clinici si ottengono nei pazienti con blocco di branca sinistra (LBBB) e durata di QRS ≥150 ms . Non è chiaro se la risposta non sia ottimale solo nei pazienti con blocco di branca destra (RBBB), oppure anche nei pazienti con ritardo non specifico di conduzione intraventricolare (IVCD).

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Clinical manifestations of cancer in patients with acute pulmonary embolism

Le neoplasie aumentano il rischio di embolia polmonare (PE) acuta attraverso diversi meccanismi fisiopatologici. In questo studio di 366 pazienti consecutivi con diagnosi di PE acuta (età media 65.0 ± 16.6 anni, 59% donne), i pazienti sono stati suddivisi in due gruppi: i casi neoplasia-negativi (83%), ossia senza una concomitante neoplasia attiva o storia di neoplasia, e quelli positivi (17%). Tra i pazienti con neoplasia (-) e neoplasia (+) sono state evidenziate differenze statisticamente significative (P < 0.05) per i seguenti fattori di rischio: BMI, tabagismo, emoglobina, ematocrito, globuli rossi, urea, velocità di filtrazione glomerulare, troponina T ad alta sensibilità, proteina C-reattiva (CRP), D-dimero e NT-proBNP. All’analisi di regressione univariata Cox, gli hazard ratio e gli odds ratio stimati, rispettivamente, per il rischio di morte anticipata per cancro e per un episodio secondario di PE acuta nei pazienti con neoplasia sono risultati più di tre volte superiori rispetto ai pazienti senza neoplasia (P < 0.05). In conclusione, molteplici fattori clinici sono utili nella stratificazione prognostica dei pazienti con PE acuta e neoplasia. I pazienti con neoplasia dovrebbero essere trattati con terapia anticoagulante dopo un episodio di PE per prevenire successive recidive e ridurre il rischio di mortalità.

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Diagnosis and Treatment of Acute Myocarditis: A Review

Ogni anno, da 4 a 14 ogni 100.000 soggetti presenta una miocardite acuta. Circa il 75% dei pazienti ricoverati per miocardite ha un decorso ospedaliero privo di complicanze con una mortalità praticamente nulla. Il rimanente 25%, che presenta sintomi di insufficienza cardiaca o aritmie minacciose, ha una mortalità ospedaliera (o necessità di avere un trapianto cardiaco) del 12%. La presenza di fibrosi del setto alla risonanza magnetica si associa a un più alto rischio di morte improvvisa, arresto cardiaco, necessità di impianto di defibrillatore, ospedalizzazione per scompenso (16% versus 8%). I pazienti con una presentazione complicata (shock cardiogeno, scompenso, aritmie severe, blocco AV avanzato) necessitano di una biopsia miocardica per confermare la diagnosi ed escludere una miocardite a rischio elevato, come quella a cellule giganti. I criteri istologici per la diagnosi di miocardite (Dallas criteria) consistono nella triade di infiltrazione immunitaria del miocardio, morte dei miociti per causa non ischemica, presenza di cellule immunitarie adiacenti ai miociti morti. La Società Europea di Cardiologia sottolinea, per la diagnosi bioptica di miocardite, la necessità della presenza alla biopsia miocardica di almeno 14/mm2 di cellule infiammatorie CD45+ e 7/mm2 cellule infiammatorie tipo CD3+T. La miocardite può essere classificata come linfocitica (la più frequente), eosinofilica, a cellule giganti (caratterizzata da infiltrati di linfociti, cellule multinucleate – appunto dette cellule giganti) o da sarcoidosi cardiaca, a seconda della dominanza del tipo di cellule presenti.

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Heart failure with preserved ejection fraction: a review.

Tutti i pazienti con sintomi di scompenso dovrebbero eseguire un ecocardiogramma. I tipici aspetti dello scompenso a frazione di eiezione conservata (HFpEF) sono l’aumento delle pressioni di riempimento a riposo o durante lo sforzo. Alcuni pazienti che presentano una dispnea apparentemente inspiegabile (“unexplained dyspnea”) riferiscono astenia, dolore toracico (anche a coronarie normali) e “bendopnea”, cioè dispnea quando sono piegati in avanti, sintomo secondario a un aumento delle pressioni di riempimento , ma non segni di congestione sia all’rx torace chevall’ecocardiogramma. Spesso, questi sintomi sono riferiti a obesità o a decondizionamento fisico, se non viene indagata l’emodinamica con uno stress test. I valori di BNP e NTproBNP sono nei limiti di normalità in circa il 30% dei pazienti HFpEF, soprattutto nei pazienti giovani, obesi, con funzione renale conservata e in ritmo sinusale. Le Linee Guida nord-americane del 2022 raccomandano di stimare la probabilità di diagnosi di HFpEF in pazienti con dispnea inspiegabile, utilizzando l’H2FPEFscore (Heavy, Hypertension, Atrial Fibrillation, Pulmonary Hypertension, Elderly, Filling pressure). Uno score di almeno 6 punti restituisce una probabilità di HFpEF del 95%, uno score di ≤1 è associato a una probabilità di HFpEF di meno dl 25%, mentre un punteggio tra 2 e 5 pone la necessità di ulteriori indagini attraverso l’esecuzione di uno stress test durante cateterismo destro o studio eco-doppler.

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Le manifestazioni cliniche della amiloidosi.

La diagnosi di amiloidosi cardiaca presuppone che il cardiologo riconosca alcuni aspetti clinici (“red flags”) che possono essere distinti in cardiaci (ipertrofia ventricolare sinistra, alterata funzione diastolica, fibrillazione atriale, disturbi del sistema di conduzione, elevazione dei marker cardiaci) ed extracardiaci (tunnel carpale, interventi per protesi al ginocchio o all’anca, pregressi interventi alla spalla, proteinuria, neuropatia periferica). Difficile distinguere sul piano clinico la amiloidosi AL (da catene leggere delle immunoglobuline) dalla forma ATTR (da accumulo di transtiretina) se non per la presenza, solo in questa seconda forma, della rottura del tendine del bicipite e la stenosi spinale. Benché la risonanza magnetica non sia né necessaria né sufficiente per porre diagnosi di amiloidosi cardiaca, alcuni aspetti quali l’aumento del volume extracellulare, l’abnorme cinetica del gadolinio e il suo “late enhancement” possono generare il sospetto diagnostico. Il primo passo dell’algortimo diagnostico consiste nella ricerca di una proteina monoclonale per escludere una alterazione plasmacellulare (che indirizzerebbe verso una possibile amiloidosi di tipo AL). Se presente, è necessario consultare un ematologo per il prosieguo dell’iter diagnostico. Se assente, la SPECT con tecnezio pirofosfato rappresenta lo step successivo. Se positiva, il test genetico preciserà se siamo di fronte a una ATTRv (da varianti della transtiretina, la più frequente dovuta alla sostituzione di isoleucina per valina in posizione 122 della proteina) o a una forma TTRwt (“wild type” o forma senile). Il risultato del test ci dirà se i familiari andranno indagati o se potremo usare i nuovi farmaci “mRNA silencers” (approvati solo per le forme ATTR-v) per curare una eventuale neuropatia periferica.

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Trattamento dell’insufficienza tricuspidalica con dispositivi percutanei: è giunta l’ora?

La patologia della valvola tricuspidale è stata a lungo dimenticata, e il suo trattamento considerato per lo più quando vi è una concomitante patologia del cuore sinistro che ne condiziona l’insorgenza e la progressione. Solo recentemente è stata rivolta l’attenzione alle forme “isolate” di insufficienza tricuspidalica (TR), cioè quelle che si sviluppano in assenza di una cardiopatia strutturale, e al loro outcome ed il trattamento si riduce sostanzialmente ad una terapia medica basata sull’uso di diuretici. Ultimamente, sono stati riportati dati favorevoli con tecniche di riparazione transcatetere (TEER) della TR, utilizzando dispositivi analoghi a quelli usati nel trattamento percutaneo dell’insufficienza mitralica.

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Trattamento percutaneo dell’insufficienza mitralica secondaria in pazienti scompensati: i risultati dello studio COAPT a 5 anni.

L’insufficienza mitralica (I.M.) funzionale che si accompagna all’evoluzione delle miocardiopatie ischemiche e non-ischemiche ha importante valore prognostico. Il suo trattamento percutaneo, mediante impianto di MitraClip (TEER), ha migliorato l’outcome dei pazienti rispetto alla terapia medica ottimale nello studio COAPT a due anni dall’intervento(2(Stone GW, Lindenfeld J, Abraham WT, et al. Transcatheter mitral-valve repair in patients with heart failure. N Engl J Med 2018; 379: 2307-18.)Non è noto quale possa essere il decorso dei pazienti trattati nel prosieguo del follow-up.

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Coronary ectasia in different scenarios, primarily in myocardial infarction with nonobstructive coronary artery disease.

L’ectasia coronarica (CAE) rappresenta un reperto non frequente nei pazienti sottoposti ad angiografia coronarica. Tuttavia, rimane sconosciuto se la sua estensione differisca in base alla diversa presentazione clinica dei pazienti. Nel presente studio, sono stati identificati 341 pazienti con diagnosi di CAE da 9.659 angiografie coronariche e suddivisi in quattro gruppi in base alla diagnosi di ammissione del paziente: angina stabile o instabile, infarto miocardico (IM), patologia aortica, malattia valvolare aortica. Non sono state riscontrate differenze significative nell’estensione della CAE tra i quattro gruppi, in termini di vasi interessati o di classe Markis. Inoltre, la CAE non era correlata all’estensione della coronaropatia. Tuttavia, quando i pazienti ischemici sono stati suddivisi in base alla presenza di coronaropatia ostruttiva, l’IM senza coronaropatia ostruttiva (MINOCA) è risultato associato a una maggiore estensione della CAE in termini di classe Markis 1 (odds ratio [OR] 5.08, 95% CI 1.61-16.04; p<0.01). In conclusione, l’estensione della CAE è comparabile nei pazienti sottoposti ad angiografia coronarica con diverse indicazioni cliniche; tuttavia, i pazienti con MINOCA presentano una maggiore estensione della CAE.

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Hemodynamic effects of heart rate lowering in patients admitted for acute heart failure: the REDRATE-HF study (reduction of heart rate in heart failure).

Nei pazienti ricoverati per scompenso cardiaco acuto, gli effetti clinici di una strategia di riduzione della frequenza cardiaca sono oggetto di controversia. Nello studio multicentrico Reduction of heart Rate in Heart Failure (RedRate-HF) 20 pazienti (età media 67 ± 15 anni, BNP all’ingresso 1.348 ± 1.198 pg/ml) sono stati trattati con terapia medica ottimale associata a ivabradina 5 mg bid a 48–72 h dall’ingresso. I pazienti sono stati valutati con la tecnica della bioimpedenza a 24, 48, 72 h dall’assunzione del farmaco e alla dimissione. Il farmaco è stato ben tollerato e ha indotto una aumento dell’intervallo RR (da 747 ± 69 ms basale a 948 ± 121 ms alla dimissione, p<0.0001). La gittata sistolica e’ aumentata da 73 ± 22 a 84 ± 19 ml alla dimissione (p=0.03 ) con una riduzione del lavoro cardiaco (da 3.6 ± 1.2 vs. 3.1 ± 1.1 kg/m2 alla dimissione, p=0.04). In conclusione, una strategia di riduzione della frequenza cardiaca in pazienti ricoverati per scompenso acuto, in aggiunta alla terapia medica ottimale, si accompagna a un aumento della gittata sistolica e a una riduzione del lavoro cardiaco.

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