Prevenzione secondaria

Cosa devono sapere i cardiologi sui disturbi del sonno.

Ricordiamo:
– il 75% dei pazienti con ipertensione notturna soffre di OSA (apnee notturne). La mancanza quindi del “fenomeno di dipping” all’Holter pressorio deve insospettire il cardiologo. Il “non-dipping” è presente nel 48-84% dei pazienti con OSA, anche in assenza di ipertensione. L’uso di CPAP è in grado di sopprimere il fenomeno e di ridurre la pressione arteriosa notturna;
– l’OSA non trattata aumenta il rischio di fibrillazione atriale, mentre il suo trattamento ne riduce gli episodi. Il cardiologo attento dovrebbe ricercare la presenza di OSA, in ogni paziente sottoposto a cardioversione o ablazione per fibrillazione atriale, soprattutto se presenta obesità;
– i pazienti scompensati con OSA hanno una ridotta sopravvivenza e un maggior numero di ospedalizzazioni, rispetto a quelli senza OSA. L’aumento dell’attività, simpatica, le desaturazioni notturne e le variazioni di pressione intratoracica peggiorano l’emodinamica cardiaca;
– la presenza di insonnia è un fattore di rischio cardiovascolare, in particolare per l’ipertensione. Il suo trattamento rappresenta una nuova frontiera per promuovere il benessere cardiovascolare.

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Safety and efficacy of different P2Y12 inhibitors in patients with acute coronary syndromes stratified by the PRAISE risk score: a multicentre study.

Aims: To establish the safety and efficacy of different dual antiplatelet therapy (DAPT) combinations in patients with acute coronary syndrome (ACS) according to their baseline ischaemic and bleeding risk estimated with a machine learning derived model [machine learning-based prediction of adverse events following an acute coronary syndrome (PRAISE) score].

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Può una DAPT prolungata oltre l’anno essere utile nei pazienti sottoposti a impianto di stent coronarico?

La durata della doppia terapia antiaggregante (DAPT), dopo impianto di stent, è oggetto di dibattito e di studio. La cardiologia interventistica è in continua evoluzione, sia per il miglioramento dei materiali utilizzati (soprattutto per quanto riguarda la tecnologia degli stent), l’esperienza crescente degli operatori e l’utilizzo, sempre maggiore, di tecniche di imaging che hanno permesso di ridurre il rischio di trombosi dello stent. Applicare i risultati di trial, datati a una realtà dinamica, può comportare errori di valutazione clinica. È necessario, perciò, verificare se i risultati dei trial che hanno esplorato la corretta durata della DAPT siano tuttora applicabili alla popolazione di pazienti che attualmente viene sottoposta a impianto di stent.

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L’infarto miocardico dopo angioplastica coronarica: quale definizione utilizzare?

L’infarto miocardico periprocedurale (PPMI) è una complicanza non infrequente delle procedure di angioplastica coronarica (PCI) che limita l’impatto clinico favorevole della procedura. Ne sono state proposte alcune definizioni che differiscono tra loro, sia per le soglie di incremento postprocedurale della troponina (cTn), che per la presenza o meno di criteri ancillari che indichino il rischio di complicanze angiografiche o di nuova ischemia miocardica. Tuttavia, non c’è consenso su quale definizione utilizzare, anche se si concorda sull’impatto prognostico che una corretta definizione deve avere, in particolare sulla successiva mortalità cardiovascolare. Il problema non è di poco conto, in quanto l’incidenza di PPMI può variare dal 2% al 18% in base alle diverse definizioni, modificando, a seconda di quella utilizzata, il risultato di trial che confrontino la PCI sia con la terapia medica che con il bypass aortocoronarico.

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Ritorno alla guida dopo l’impianto di defibrillatore. Quanto è sicuro?

Le Linee Guida attuali raccomandano una astensione dalla guida per tre mesi in caso di impianto di defibrillatore in prevenzione secondaria (o dopo uno shock appropriato del dispositivo) e per un mese se l’impianto è in prevenzione primaria. Tuttavia, ci sono pochi studi dedicati all’aderenza a tali restrizioni e all’impatto che può avere il ritorno alla guida di tali pazienti e sul possibile rischio di incidenti stradali.

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Dobbiamo somministrare il betabloccante nei pazienti con infarto miocardico non complicato da scompenso cardiaco sottoposti a rivascolarizzazione miocardica?

La prescrizione di betabloccante dopo un infarto miocardico in assenza di scompenso cardiaco è una prassi consolidata tra i cardiologi, supportata dalle Linee Guida, ma non presenta dati di evidenza solida a suo favore nei pazienti trattati con rivascolarizzazione miocardica sia percutanea che chirurgica. Gli studi osservazionali dai risultati contrastanti e un solo studio randomizzato, peraltro sottodimensionato, non permettono di esprimere un giudizio definitivo al riguardo.

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Prevenzione secondaria delle manifestazioni cliniche aterotrombotiche con farmaci anti-citochinici. Possibile un ulteriore sviluppo dall’analisi dei dati dello studio CANTOS?

Lo studio CANTOS, pubblicato tre anni fa, ha dimostrato come l’inibizione di interleukina(IL) -1beta con canakinumab in pazienti con storia di infarto miocardico e valori di proteina C reattiva (PCR) >2 mg/L porti ad una riduzione degli eventi clinici cardiovascolari senza interferire con i valori di colesterolemia ad un follow-up medio di 3.7 anni.

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