PCI

Utilizzo della fractional flow reserve (FFR) per valutare il risultato finale della angioplastica coronarica. I risultati di uno studio randomizzato

La FFR è utilizzata per individuare le stenosi di grado intermedio all’angiografia che sono emodinamicamente significative e, perciò, trattabili con angioplastica coronarica (PCI). L’utilizzo invece di FFR post-PCI per giudicare il risultato della procedura è poco praticato, sia perchè il suo significato non è validato da ampi studi, sia perchè un risultato subottimale della procedura è spesso attribuito alla presenza di una malattia diffusa dei rami coronarici non generalmente trattabile.

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Rivascolarizzazione con bypass e angioplastica nel paziente coronaropatico con scompenso cardiaco: una analisi del registro SCAAR.

Nei pazienti con cardiopatia ischemica e scompenso cardiaco la rivascolarizzazione con bypass aortocoronarico (CABG) migliora la prognosi rispetto alla terapia medica ottimale, come dimostrato dallo studio STICH ((Velazquez EJ, Lee KL, Jones RH, et al. Coronary-artery bypass surgery in patients with ischemic cardiomyopathy. N Engl J Med 2016;374:1511–1520. )). Non esiste, tuttavia, analoga documentazione per l’angioplastica coronarica (PCI) che è peraltro la modalità di rivascolarizzazione più ampiamente effettuata. Inoltre, non vi è alcuno studio di confronto tra CABG e PCI in questa popolazione ad alto rischio.

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Early prognostic stratification and identification of irreversibly shocked patients despite primary percutaneous coronary intervention.

I determinanti prognostici nei pazienti con infarto miocardico acuto con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) e shock cardiogeno (CS) sono tutt’oggi poco definiti e rappresentano l’oggetto del presente studio. Gli Autori hanno analizzato 1.222 pazienti STEMI sottoposti ad angioplastica coronarica primaria (PPCI) in un registro retrospettivo, di cui 7.5% con CS.

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Doppia terapia antiaggregante abbreviata a un mese in pazienti con alto rischio emorragico sottoposti a impianto di stent

La durata della doppia terapia antiaggregante (DAPT), dopo angioplastica coronarica percutanea (PCI) con impianto di stent medicato (DES) in pazienti ad alto rischio emorragico è da tempo oggetto di controversia. La tendenza attuale è di ridurre la DAPT al minimo indispensabile per diminuire il rischio di eventi emorragici, senza tuttavia incrementare il rischio di eventi ischemici. Le Linee Guida della Società Europea di Cardiologia (ESC), nei pazienti con sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTE-ACS), indicano in 3 mesi la durata della DAPT quando il rischio di bleeding è elevato, mentre nei pazienti in terapia anticoagulante la DAPT dovrebbe terminare dopo la degenza ospedaliera, oppure protrarsi per 1 mese nel caso sussista un rischio ischemico elevato ((The Task Force for the management of acute coronary syndromes in patients presenting without persistent ST-segment elevation of the European Society of Cardiology (ESC) 2020 ESC Guidelines for the management of acute coronary syndromes in patients presenting without persistent ST-segment elevation. Eur Heart J 2020; doi:10.1093/eurheartj/ ehaa575.)). Tuttavia queste indicazioni potrebbero essere in rapida evoluzione man mano che si aggiungono nuovi contributi della letteratura.

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L’accesso radiale distale per le procedure diagnostiche e interventistiche coronariche: una tecnica gravata da minori complicanze rispetto all’accesso radiale convenzionale?

L’approccio transradiale (TRA) riduce il sanguinamento rispetto all’accesso transfemorale (TFA) ed è ampiamente utilizzato nelle procedure diagnostiche e interventistiche coronariche (PCI, percutaneous coronary intervention) ((Mason PJ, Shah B, Tamis-Holland JE, et al. An Update on Radial Artery Access and Best Practices for Transradial Coronary Angiography and Intervention in Acute Coronary Syndrome: A Scientific Statement From the American Heart Association. Circ Cardiovasc Interv 2018;11(9):e000035. Doi: 10.1161/HCV.0000000000000035.)). La complicanza maggiore è tuttavia l’occlusione dell’arteria radiale (RAO, in circa il 7.5% dei casi), che può precludere un ipotetico futuro riutilizzo di tale arteria per successive PCI o quale condotto arterioso per interventi di bypass aortocoronarico o per l’esecuzione di fistola nell’eventualità si renda necessaria una emodialisi.

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