statine

Great debate: lipid-lowering therapies should be guided by vascular imaging rather than by circulating biomarkers

Le Linee Guida ESC sulla prevenzione utilizzano le tabelle SCORE2 per stimare il rischio di eventi cardiovascolari a 10 anni di follow-up. Tuttavia, l’applicazione al singolo individuo appare talora arduo, in quanto non risulta agevole individuare sempre i soggetti in cui iniziare una prevenzione primaria, soprattutto quelli giovani a rischio intermedio o basso. A tal fine, abbiamo bisogno di nuovi marker, siano essi biochimici (lipoproteina (a) [Lp(a)], troponina, PCR ad alta sensibilità, NTproBNP) o derivati dall’imaging (presenza ed estensione di calcificazioni alla TC coronarica) o quando questa non è fattibile, il burden di placca all’indagine doppler carotidea o femorale. L’utilizzo di questi marker potrebbe permettere di trattare precocemente con statine pazienti che altrimenti non lo sarebbero, ma anche di evitare un “overtreatment” di soggetti che non devono essere considerati a rischio elevato.

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Pazienti a rischio molto alto di eventi cardiovascolari: quale terapia ipolipemizzante utilizzare?

Le Linee Guida recenti indicano la necessità di utilizzare statine ad alta intensità nei pazienti con esiti di malattia cardiovascolare (ASCVD), particolarmente in quelli a rischio molto elevato (VHR) definiti in base alla storia clinica con >1 evento cardiovascolare, oppure di malattia cardiovascolare associata a multiple comorbilità (vedi Tabella 1) nei quali farmaci addizionali (ezetimibe, inibitori PCSK9) debbono essere somministrati se il colesterolo LDL rimane >70 mg/dl. Tuttavia, nella pratica clinica, queste raccomandazioni non sono seguite e dati osservazionali mostrano come le statine ad alta intensità siano assunte da meno di un terzo dei pazienti con ASCVD. Lo studio RACING ha mostrato la non-inferiorità di una terapia con statine a media intensità (rosuvastatina 10 mg) associate a ezetimibe 10 mg rispetto a una terapia con statine ad alta intensità (rosuvastatina 20 mg) in pazienti con ASCVD. Tuttavia, non è chiaro se i pazienti VHR possano avere un vantaggio dai dosaggi più elevati di statine.

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Rischio lipidico e rischio infiammatorio: quale pesa maggiormente sulla prognosi dei pazienti che assumono statine?

I pazienti affetti da malattia cardiovascolare sono potenziali candidati a nuovi eventi, se non viene adeguatamente controllato sia il rischio residuo derivante da livelli elevati di colesterolo LDL che il rischio infiammatorio. Quale dei due maggiormente contribuisca al verificarsi di successivi eventi cardiovascolari, una volta che il paziente sia posto in terapia con statine, non è ancora noto.

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Beneficial effects of prehospital use of statins in a large united states cohort of hospitalized coronavirus disease 2019 patients.

L’impatto della terapia cronica con statine nei pazienti ospedalizzati con COVID-19 rimane sconosciuto e rappresenta l’oggetto del presente studio di coorte. Di 43.950 pazienti con COVID-19 ricoverati tra gennaio e settembre 2020, in 185 ospedali statunitensi, 38.875 pazienti ha soddisfatto i criteri di inclusione e 23.066 sono stati inseriti nella coorte con campionamento propensity-matched (11.533 [30%] erano in trattamento con statine precedentemente all’ospedalizzazione). L’endpoint primario era la mortalità per tutte le cause. I pazienti in trattamento con statine presentavano un rischio relativo inferiore del 20% rispetto a quelli non in trattamento (odds ratio [OR] 0.80, 95% CI 0.74-0.86, p<0.001), un rischio inferiore del 23% di mortalità per COVID-19 (OR 0.77, 95% CI 0.71-0.86, p<0.001) e un rischio inferiore del 16% di ricovero in terapia intensiva (OR 0.84, 95% CI 0.79-0.89, p<0.001). In conclusione, l'utilizzo cronico di statine è associato a una riduzione della mortalità e a un miglioramento degli esiti clinici nei pazienti ospedalizzati con COVID-19.

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Reduced Heart Failure and Mortality in Patients Receiving Statin Therapy Before Initial Acute Coronary Syndrome.

Background: There is uncertainty regarding the impact of statins on the risk of atherosclerotic cardiovascular disease (ASCVD) and its major complication, acute heart failure (AHF).

Objectives: The aim of this study was to investigate whether previous statin therapy translates into lower AHF events and improved survival from AHF among patients presenting with an acute coronary syndrome (ACS) as a first manifestation of ASCVD.

Methods: Data were drawn from the International Survey of Acute Coronary Syndromes Archives. The study participants consisted of 14,542 Caucasian patients presenting with ACS without previous ASCVD events. Statin users before the index event were compared with nonusers by using inverse probability weighting models. Estimates were compared by test of interaction on the log scale. Main outcome measures were the incidence of AHF according to Killip class and the rate of 30-day all-cause mortality in patients presenting with AHF.

Results: Previous statin therapy was associated with a significantly decreased rate of AHF on admission (4.3% absolute risk reduction; risk ratio [RR]: 0.72; 95% CI: 0.62- 0.83) regardless of younger (40-75 years) or older age (interaction P = 0.27) and sex (interaction P = 0.22). Moreover, previous statin therapy predicted a lower risk of 30-day mortality in the subset of patients presenting with AHF on admission (5.2 % absolute risk reduction; RR: 0.71; 95% CI: 0.50-0.99).

Conclusions: Among adults presenting with ACS as a first manifestation of ASCVD, previous statin therapy is associated with a reduced risk of AHF and improved survival from AHF. (International Survey of Acute Coronary Syndromes [ISACS] Archives; NCT04008173).

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STEMI tardivo: quale vantaggio dalla rivascolarizzazione?

L’argomento è tuttora di grande attualità, poichè rappresenta una area clinica di incertezza nella quale evidenze provenienti da studi randomizzati sono carenti. Le Linee Guida della Società Europea di Cardiologia (ESC) indicano anche in questi pazienti, che giungano all’osservazione 12-48 ore dall’inizio dei sintomi, l’utilizzo della PCI primaria con una classe di raccomandazione IIa, evidenza B ((Ibanez B, James S, Agewall S, et al. 2017 ESC guidelines for the management of acute myocardial infarction in patients presenting with ST-segment elevation: the Task Force for the Management of Acute Myocardial Infarction in Patients Presenting With ST-Segment Elevation of the European Society of Cardiology (ESC). Eur Heart J. 2018;39:119–177. )).

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L’uso delle statine nel paziente scompensato riduce il rischio di neoplasia?

È stato ipotizzato che lo scompenso cardiaco sia una condizione oncogena, soprattutto per la relazione che esiste tra stimolazione neuro-ormonale, stato infiammatorio e l’insorgenza di neoplasie ((Bertero E, Canepa M, Maack C, Ameri P. Linking heart failure to cancer: background evidence and research perspectives. Circulation 2018;138:735–742.)) ((de Boer RA, Hulot JS, Tocchetti GC, et al. Common mechanistic pathways in cancer and heart failure. A scientific roadm[1]ap on behalf of the Translational Research Committee of the Heart Failure Association (HFA) of the European Society of Cardiology (ESC). Eur J Heart Fail 2020;22:2272–2289. )).

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Colchicina e prevenzione secondaria della cardiopatia ischemica

La prevenzione secondaria dell’infarto miocardico è basata, oltre che su un adeguato stile di vita e controllo dei fattori di rischio, sull’utilizzo di farmaci antipiastrinici e statine. Recenti studi hanno mostrato un effetto benefico di una terapia anti-infiammatoria basata sull’utilizzo della colchicina. In particolare due trial, COLCOT ((Tardif J-C, Kouz S, Waters DD, et al. Efficacy and safety. of low-dose colchicine after myocardial infarction. N Engl J Med 2019;381: 2497–2505.)) e LoDoCo2 ((Nidorf SM, Fiolet ATL, Mosterd A, et al. LoDoCo2 Trial Investigators. Colchicine in patients with chronic coronary disease. N Engl J Med 2020;383:1838–1847.)) hanno mostrato come questo farmaco possa ridurre nuovi eventi cardiovascolari, in particolare ictus e infarto miocardico, in assenza tuttavia di alcun effetto sulla mortalità. Nello studio LoDoCo2 addirittura si evidenziava un aumento della mortalità non cardiovascolare nel gruppo trattato con colchicina rispetto a quello trattato con placebo.

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