Unloading del ventricolo sinistro in pazienti con shock cardiogeno trattati con ECMO: è utile associare IMPELLA?

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Indice

Inquadramento

Lo shock cardiogeno è tuttora gravato da alta mortalità. Nei casi avanzati, in cui la terapia farmacologica non riesce a contrastare la ridotta perfusione tissutale, l’utilizzo dell’ECMO (extracorporeal membrane oxygenation) fornisce un supporto circolatorio e respiratorio spesso in grado di interrompere la spirale negativa innescata dalla ipoperfusione che conduce all’exitus. Tuttavia, una complicanza dell’ECMO è l’aumento del post-carico, conseguenza della perfusione aortica retrograda. Ne può risultare una difficoltà alla eiezione del ventricolo sinistro, con aumento delle pressioni di riempimento e conseguente edema polmonare e ipossiemia. Una metanalisi recente di studi osservazionali [1]Russo JJ, Aleksova N, Pitcher I, et al. Left ventricular unloading during extracorporeal membrane oxygenation in patients with cardiogenic shock. J Am Coll Cardiol. 2019;73: 654–662. doi: … Continua a leggere ha mostrato come l’utilizzo di supporti meccanici capaci di determinare “unloading” del ventricolo sinistro (contropulsatore aortico, drenaggio per via transettale dell’atrio sinistro, o lmpella) in pazienti già in ECMO possa ridurre la mortalità.

Lo studio in esame

In questo studio multicentrico è stata raccolta una casistica retrospettiva di pazienti con shock cardiogeno (63% per infarto miocardico, 67% con precedente arresto cardiaco) trattati con ECMO. In una analisi “propensity-matched”, 255 pazienti che avevano ricevuto anche “unloading” con Impella (gruppo ECMELLA) mostravano un beneficio in termini di mortalità, rispetto a un analogo numero di pazienti non trattati con Impella (solo ECMO, vedi Tabella) che era indipendente da età, sesso, precedente arresto cardiaco e valori di lattato, con risultati significativi solo per il gruppo in cui ECMELLA veniva messo in atto precocemente. A fronte di questo beneficio le complicanze, in particolare quelle emorragiche e vascolari, risultavano più elevate nel gruppo ECMELLA (Tabella).

Take home message

L’utilizzo di Impella associato a ECMO (ECMELLA) ha ridotto la mortalità rispetto al solo impiego di ECMO in pazienti con shock cardiogeno, pur in presenza di un maggior numero di complicanze rilevanti. Lo studio, in attesa di conferme da studi randomizzati, depone a favore di una strategia di unloading del ventricolo sinistro, ma sottolinea anche l’importanza di una sorveglianza accurata degli accessi vascolari per ottimizzare il rapporto rischio/beneficio.

Interpretazione dei dati

Lo studio è stato condotto su un’ampia casistica ed è il primo ad affrontare, con metodologia rigorosa, due strategie di supporto meccanico in pazienti in shock cardiogeno. I risultati hanno una forte plausibilità dal punto di vista fisiopatologico e sembrano avvalorare l’ipotesi che l’unloading del ventricolo sinistro associato a ECMO abbia un impatto favorevole sulla prognosi di questi pazienti critici. Il limite dello studio è, ovviamente, l’assenza di randomizzazione per cui i due gruppi, anche se ben “matchati” sulla base di dati clinici e metabolici, potrebbero differire per variabili non considerate nell’analisi e potenzialmente correlate al decorso clinico. È verosimile, ad esempio, che l’utilizzo di ECMELLA piuttosto che di solo ECMO sia perseguito da centri che hanno una maggiore esperienza nel trattamento di pazienti in shock cardiogeno. Resta inoltre irrisolto il problema del timing dell’inserimento di Impella, in quanto i sottogruppi con utilizzo precoce o tardivo del dispositivo avevano numerosità differente, influenzando in tal modo la significatività statistica. Non trascurabile, infine, il maggior numero di complicanze nel gruppo ECMELLA, aspetto che gli operatori dovrebbero approfondire per ridurne il numero e l’impatto clinico.

L’opinione di Carlo Trani

UOC di Cardiologia Interventistica e Diagnostica Invasiva, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli, IRCCS Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

Nonostante i notevoli progressi terapeutici degli ultimi anni, la mortalità ospedaliera dei pazienti che si presentano con shock cardiogeno o dopo arresto cardiocircolatorio resta particolarmente elevata. Nelle forme più gravi di shock cardiogeno, i presidi farmacologici si sono dimostrati poco efficaci. L’assistenza cardiocircolatoria meccanica con VA-ECMO rappresenta il sistema più efficace per mantenere la perfusione degli organi vitali. Tuttavia, questo effetto benefico sulla perfusione avviene a scapito di un marcato aumento dell’afterload cardiaco. E l’aumento dell’afterload e del conseguente lavoro cardiaco risulta particolarmente dannoso nei pazienti con infarto miocardico acuto, perché l’incremento del consumo di ossigeno miocardico aggiunge danno al danno e contrasta il recupero della funzione cardiaca. Dal punto di vista fisiopatologico, l’associazione di un dispositivo di unloading del ventricolo sinistro al VA-ECMO appare quindi molto sensato e in letteratura esistono evidenze a favore, seppur derivanti da studi quasi esclusivamente retrospettivi e su popolazioni di pazienti molto limitate. Lo studio di Schrage et al, uno studio multicentrico internazionale retrospettivo recentemente pubblicato su Circulation nel 2020, riporta l’outcome a 30 giorni di 686 pazienti consecutivi ricoverati per shock cardiogeno in 16 centri di 4 nazioni. Nello specifico, lo studio ha messo a confronto 2 popolazioni di pazienti, 255 trattati con solo VA-ECMO e 255 in cui al VA-ECMO è stato associato l’impianto di Impella (ECMELLA), selezionate e rese omogeneee con il metodo del propensity matching. Il risultato dello studio è stato che i pazienti del gruppo ECMELLA hanno avuto una mortalità significativamente inferiore (58.3% vs 65.7%, p 0.03), nonostante le complicanze (emorragie severe, ischemia degli arti inferiori e sindrome compartimentale addominale necessitanti intervento chirurgico e insufficienza renale che ha richiesto emodialisi) siano state significativamente più frequenti rispetto al gruppo trattato col solo VA-ECMO. Questo risultato, sebbene il propensity match non possa completamente eliminare i limiti dello studio retrospettivo, appare particolarmente significativo. Una tale riduzione della mortalità associata all’uso dell’Impella, nonostante l’aumentata incidenza di complicanze gravi, rappresenta un segnale molto positivo. E lascia spazio a un ulteriore margine di miglioramento dal momento che almeno alcune delle complicanze potrebbero essere messe in relazione alla tecnica d’impianto, anche considerando l’intervallo temporale in cui i pazienti sono stati arruolati (2013-2019 per il gruppo ECMELLA). Appare infatti evidente che al di là delle complicanze emorragiche, più strettamente collegate allo stato di anticoagulazione, una quota rilevante di complicanze deriva dagli accessi vascolari. Tali complicanze vascolari potrebbero, da un lato, essere prevenute da un affinamento della tecnica d’impianto e dall’altro venir trattate meno invasivamente per via endovascolare evitando il ricorso alla chirurgia, che di per sè rappresenta un rischio proibitivo per pazienti in condizioni già critiche. L’esperienza acquisita negli ultimi anni dai cardiologi interventisti, specialmente con la sostituzione valvolare aortica transcatetere (TAVI), nella gestione degli accessi di grandi dimensioni può rivelarsi, in quest’ottica, un fattore determinante e contribuire ad ampliare ulteriormente il rapporto costo/beneficio dell’approccio combinato VA-ECMO + Impella. Ovviamente, seppur estremamente promettenti, i risultati di questo studio andrebbero confermati da uno studio randomizzato, ma purtroppo le difficoltà nel portare a termine un trial randomizzato in questo setting clinico sono note.

Bibliografia

Bibliografia
1 Russo JJ, Aleksova N, Pitcher I, et al. Left ventricular unloading during extracorporeal membrane oxygenation in patients with cardiogenic shock. J Am Coll Cardiol. 2019;73: 654–662. doi: 10.1016/j.jacc.2018.10.085

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