Stefano De Servi, Università degli Studi di Pavia
Inquadramento
Molti pazienti sottoposti a procedure di PCI presentano un alto rischio emorragico (HBR). In questi pazienti le Linee Guida suggeriscono di individualizzare la terapia antipiastrinica tenendo conto delle caratteristiche del paziente[1]Valgimigli M, Bueno H, Byrne RA, Collet JP, Costa F, Jeppsson A, et al. 2017 ESC focused update on dual antiplatelet therapy in coronary artery disease developed in collaboration with EACTS: the Task … Continua a leggere. La difficoltà maggiore per il clinico, in questi casi, è rappresentata dal fatto che molti pazienti HBR hanno anche un elevato rischio ischemico in quanto molte variabili sono predittive sia del rischio ischemico che di quello emorragico[2]Urban P, Mehran R, Colleran R, Angiolillo DJ, Byrne RA, Capodanno D, et al. Defining high bleeding risk in patients undergoing percutaneous coronary intervention. Circulation 2019;140:240–61. … Continua a leggere. Vi è necessità perciò di ampi studi che informino sulla prognosi dei pazienti HBR.
Lo studio in esame
In questo studio di coorte, basato su un database Coreano (Korean National Health Insurance Review and Assessment Service) sono stati considerati 325.417 pazienti sottoposti a PCI tra il 2009 e il 2018. I pazienti classificati come HBR, in base alla definizione dell’Academic Research Consortium (ACR), sono stati 66.426 (20.4%). Un terzo aveva una coronaropatia stabile e due terzi una sindrome coronarica acuta (metà con infarto miocardico e metà con angina instabile). Le variabili principali che hanno motivato la definizione di HBR in questi pazienti sono state l’anemia (valore di Hb <11 g/dl) presente nel 24% e la presenza di terapia anticoagulante (presente nel 22%). La metà dei pazienti aveva un’età ≥75 anni. Erano presenti notevoli differenze tra I pazienti HBR e quelli non-HBR: i primi avevano un’età media superiore (72 vs 63 anni), maggior presenza di diabete (40% vs 26%) scompenso cardiaco (23% vs 9%), infarto pregresso (10% vs 6%), fibrillazione atriale (14% vs 1%) e arteriopatia periferica (25% vs 14%). A un follow-up mediano di 5.2 anni, l’outcome di sicurezza (bleeding maggiore BARC 3 o 5) si è verificato nel 23.9% dei pazienti HBR e nell’8.9% dei pazienti non-HBR (HR 3.12, 95% CI 3.04– 3.21, P<.001), mentre l’endpoint ischemico (morte cardiaca, infarto miocardico e stroke) si è verificato nel 33.8% dei pazienti HBR e nel 14.4% dei pazienti non-HBR (HR 2.50, 95% CI 2.45–2.56, P<.001). Anche il rischio di mortalità per ogni causa è risultato più elevato nei pazienti HBR che in quelli non-HBR (HR 3.73, 95% CI 3.66–3.79, P<.001). Un’analisi propensity score matching ha confermato il maggior rischio di eventi emorragici e ischemici nel gruppo HBR (ma l’analisi non ha eliminato del tutto la differente distribuzione delle variabili cliniche di rischio tra i due gruppi). L’incidenza di eventi ischemici ed emorragici a 1 anno e 10 anni per i più frequenti criteri ARC maggiori o minori sono descritti nella Tabella. Il rischio di eventi emorragici è risultato del 5.5%/anno per un singolo criterio maggiore ACR e del 2.9% per ogni criterio minore. Tra i pazienti HBR, la presenza di ogni variabile di rischio aumentava non solo la probabilità di eventi emorragici, ma anche di quelli ischemici.
Take home message
Nei pazienti sottoposti a PCI, quelli con HBR sono a maggior rischio di eventi ischemici ed emorragici nel follow-up e hanno una mortalità più elevata rispetto ai pazienti non-HBR.

Interpretazione dei dati
L’importanza dello studio risiede nell’aver documentato e quantificato il rischio di eventi emorragici e ischemici in unʼampia coorte di pazienti sottoposti a PCI e classificati come HBR e non-HBR, in base alla definizione dell’Academic Research Consortium (ARC). Lo studio permette di validare i criteri ARC utilizzando una vasta casistica “real world” e di accertare con precisione la prevalenza di HBR in una popolazione non selezionata di coronaropatici rivascolarizzati con interventi percutanei. La proporzione riscontrata del 20% appare più aderente alla realtà clinica rispetto a valori del 35-40% riportati in precedenti osservazioni[3]Natsuaki M, Morimoto T, Shiomi H, Yamaji K, Watanabe H, Shizuta S, et al. Application of the academic research consortium high bleeding risk criteria in an all-comers registry of percutaneous … Continua a leggere, Valgimigli e Landi, sulla base dell’osservazione degli Autori coreani di un maggior rischio di mortalità dopo un evento emorragico BARC- 3 (HR: 2.71, 95% CI: 2.64 to 2.77) rispetto a un infarto miocardico (HR: 1.33, 95% CI: 1.28 to 1.39), osservano che questo studio conferma che la valutazione del rischio emorragico deve avere la precedenza sulla valutazione del rischio ischemico. Tuttavia, non va dimenticato che la casistica presentata da Kang e coll. includeva anche pazienti in terapia anticoagulante, nei quali una complicanza emorragica può essere catastrofica o annunciare la presenza di una neoplasia a prognosi non favorevole. Non va dimenticato infine che nel mondo reale, come dimostra questo studio, la metà dei pazienti HBR ha un’età ≥75 anni, spesso associata a molte comorbilità e condizioni di fragilità. La terapia antitrombotica in questi pazienti, trattati con PCI per una sindrome coronarica acuta, rappresenta tuttora un dilemma non irrisolto.
Bibliografia[+]
↑1 | Valgimigli M, Bueno H, Byrne RA, Collet JP, Costa F, Jeppsson A, et al. 2017 ESC focused update on dual antiplatelet therapy in coronary artery disease developed in collaboration with EACTS: the Task Force for dual antiplatelet therapy in coronary artery disease of the European Society of Cardiology (ESC) and of the European Association for Cardio-Thoracic Surgery (EACTS). Eur Heart J 2018;39:213–60. https://doi.org/10. 1093/eurheartj/ehx419 |
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↑2 | Urban P, Mehran R, Colleran R, Angiolillo DJ, Byrne RA, Capodanno D, et al. Defining high bleeding risk in patients undergoing percutaneous coronary intervention. Circulation 2019;140:240–61. https://doi.org/10.1161/CIRCULATIONAHA. 119.040167 |
↑3 | Natsuaki M, Morimoto T, Shiomi H, Yamaji K, Watanabe H, Shizuta S, et al. Application of the academic research consortium high bleeding risk criteria in an all-comers registry of percutaneous coronary intervention. Circ Cardiovasc Interv 2019;12:e008307. https://doi.org/10.1161/CIRCINTERVENTIONS.119.008307.). I risultati dell’analisi non sono sorprendenti: non stupisce ovviamente il maggior numero di eventi emorragici nel gruppo HBR (infatti la finalità della classificazione era l’individuazione di pazienti con alta propensione alle emorragie), ma non stupisce anche il maggior numero di eventi ischemici riscontrati nel gruppo HBR rispetto al gruppo non-HBR. Le differenze riscontrate tra i due gruppi erano infatti ampie per molte variabili con rilevante peso prognostico per morte cardiaca, rischio di infarto miocardico e ictus, a svantaggio dei pazienti HBR, che avevano età più avanzata, più frequente riscontro di diabete, arteriopatia periferica, esiti di infarto miocardico e scompenso cardiaco (quindi maggiore disfunzione ventricolare sinistra). Inoltre, numericamente, sono state molto maggiori le complicanze ischemiche rispetto al bleeding maggiore sia nell’intera popolazione a 1 anno (5.1% versus 2.7%) e a 10 anni (16.6% versus 11.2%) che suddividendo i pazienti come HBR (eventi ischemici al follow-up mediano di 5.2 anni 33.8%, eventi emorragici 23.9%) e non-HBR (eventi ischemici a un follow-up mediano di 5.2 anni 14.4%, eventi emorragici 8.9%). Questi dati sottolineano la difficoltà di personalizzare la terapia antitrombotica sulle variabili di rischio emorragico e ischemico visto che molte variabili che aumentano la probabilità di eventi emorragici aumentano anche il rischio di eventi ischemici futuri. Nell’editoriale di accompagnamento((Valgimigli M, Landi A. Bleeding risk should guide antithrombotic treatment after percutaneous coronary intervention: a Copernican revolution. Eur Heart J. 2024 Aug 28:ehae542. doi:10.1093/eurheartj/ehae542. |
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