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Una donna di 55 anni, ipertesa, diabetica, affetta da cardiomiopatia ipertrofica, portatrice di defibrillatore impiantabile in prevenzione primaria, si presenta al Pronto Soccorso per episodi di cardiopalmo associato a dispnea. Riferisce che il defibrillatore è intervenuto molte volte nelle ultime ore; ha eseguito un ECG Holter che ha registrato il tracciato evidenziato in Figura 1 e che è stato interpretato come tachicardia ventricolare.

Un paziente di 60 anni lamenta episodi di cardiopalmo, durante i quali il suo smart watch invia segnali di possibile insorgenza di fibrillazione atriale. Poichè un monitoraggio Holter registra episodi analoghi, interpretati come parossismi di fibrillazione atriale, il paziente viene sottoposto a studio elettrofisiologico durante il quale viene registrato l’elettrocardiogramma, riportato in Figura 1.

La terapia ablativa si è dimostrata superiore alla terapia medica nella prevenzione dei parossismi di fibrillazione atriale (FA) migliorando la qualità di vita. Tuttavia, l’ablazione non è sempre un trattamento definitivo ed espone molti pazienti a recidive aritmiche, soprattutto in quelli in cui la FA era persistente e non parossistica. Un ambito di discussione ancora aperto riguarda la tecnica ablativa, in particolare se...

Nei pazienti con malattia cardiovascolare, bassi valori di potassiemia, anche se ritenuti nel range di normalità (3.5-4.0 mmol per litro) comportano un maggior rischio di aritmie ventricolari, rispetto a livelli situati nel range medio alto di normalità (4.5 - 5.0 mmol per litro). . Farmaci che aumentano il livello ematico di questo elettrolita, come gli ACE-inibitori e gli antagonisti del recettore per i mineralcorticoidi, diminuiscono il rischio di morte improvvisa da causa cardiaca. . Lo scopo di questo studio, condotto in tre centri danesi, è stato quello di verificare l’efficacia e la sicurezza di una terapia che ...

Benchè sia accertato che la rivascolarizzazione completa migliori la prognosi dei pazienti STEMI multivasali, il timing procedurale del completamento è tuttora oggetto di controversia. . In particolare non è noto se debba essere eseguito in una procedura successiva a quella indice (rivascolarizzazione “staged”), oppure possa essere effettuato con pari sicurezza ed efficacia nella procedura indice (rivascolarizzazione in una “singola procedura”). Lo scopo dello studio OPTION, condotto in 14 centri della Corea del Sud, è stato quello di...

Le Linee Guida raccomandano la continuazione della terapia anticoagulante (OAC) dopo procedura di ablazione per fibrillazione atriale (AF). . Tuttavia, se l’intervento ha avuto successo e non vi è documentazione di recidive dell’aritmia, una sospensione di questa terapia potrebbe apparire giustificata anche se non esistono ampi studi randomizzati che possano sostenere una tale decisione. Lo studio ALONE-AF è stato condotto in 18 ospedali della Corea del Sud e ha arruolato 840 pazienti sottoposti ad ablazione e senza evidenza di recidive aritmiche dopo 1 anno di follow-up dalla procedura. L’età media era 64 anni, il 25% erano donne, il CHA2DS2-VASc score medio era 2.1 e il 67.6% aveva una AF parossistica. I pazienti sono stati randomizzati alla sospensione della OAC (n=417) o a continuarla (n=423). In questo gruppo...

Benchè le Linee Guida raccomandino l’utilizzo a lungo termine del solo anticoagulante dopo 6 mesi di doppia terapia antitrombotica nei pazienti in fibrillazione atriale con coronaropatia stabile (CCS) sottoposta a impianto di stent, nella pratica comune l’utilizzo dell’antipiastrinico associato all’anticoagulante è abbastanza frequente. . Lo studio, eseguito in 51 centri francesi, ha arruolato 872 pazienti CCS (tutti con impianto di stent avvenuto a una mediana di 3 anni prima dell’inclusione nel trial) con alto rischio residuo aterotrombotico sia per una precedente sindrome coronarica acuta trattata con PCI e stent o per la presenza di variabili cliniche (diabete, nefropatia cronica) o anatomiche (coronaropatia multivasale o complessa). Tutti erano in terapia anticoagulante (OAC), generalmente per fibrillazione atriale (89%). Il 90% dei pazienti assumeva un DOAC, prevalentemente apixaban (60%). I pazienti...

. Non è stato effettuato alcun studio recente con digitossina, un glucoside che ha il vantaggio di essere eliminato per via epatoenterica e quindi utilizzabile anche nei pazienti con insufficienza renale. In questo studio internazionale, condotto in 65 centri tedeschi, austriaci o serbi, 1.212 pazienti con CHF (66 anni, la metà circa con cardiopatia ischemica) e classe NYHA III-IV con FE ≤40% oppure in classe NYHA II con FE ≤30% (circa un terzo della casistica) sono stati randomizzati a ricevere digitossina (n=613) a una dose iniziale di 0.07 mg (modificabile a 6 settimane sulla base della concentrazione che doveva essere compresa tra 8 e 18 ng/mL, diminuita a 0.05 mg o aumentata a 0.10 mg se sopra o sotto quel range) oppure a placebo. I pazienti erano trattati secondo Linee Guida...

Qual è la modalità migliore per seguire i pazienti sottoposti a PCI del tronco comune per limitare gli eventi (potenzialmente catastrofici) che possono verificarsi nel follow-up e in particolare può essere utile eseguire a distanza di 6 mesi una angioCT coronarica per evidenziare una eventuale ristenosi? A questa domanda ha risposto il trial PULSE, condotto in 15 centri, prevalentemente italiani, di tre stati. Sono stati arruolati 606 pazienti con età media di 68 anni: 303 randomizzati ad angioCT (eseguita in 272 a una mediana di 200 giorni) e 303 randomizzati a essere seguiti con “standard care”, tutti sottoposti a PCI del tronco comune, nella maggior parte dei casi (67%) per NSTEACS (85% trattati con tecnica provisional e 15% con doppio stenting). Lo studio è stato disegnato come trial di superiorità di angioCT coronarica versus “standard care”, ipotizzando a 18 mesi un'incidenza dell’endpoint primario del...

La riabilitazione cardiaca è una componente importante della prevenzione secondaria nei pazienti reduci da un infarto miocardico. Tuttavia, la partecipazione ai programmi è piuttosto bassa, soprattutto nei pazienti anziani con evidenza di fragilità e limitazioni fisiche nonostante questi siano i pazienti che ne avrebbero più bisogno, perchè l’evento acuto non inneschi un circolo vizioso che possa condurre a condizioni invalidanti e alla perdita di indipendenza. . Lo studio, condotto in 7 centri italiani, coordinati dalla Cardiologia Universitaria di Ferrara, ha arruolato 512 pazienti con età ≥65 anni (mediana 80 anni, 36% donne) con ridotta capacità fisica...

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