Quiz di cultura, curiosità e… “gossip” cardiologico
Compili il quiz, al termine troverà la risposta esatta alle domande.
https://it.research.net/r/3ZTWQQK
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La strategia di trattamento ottimale (rivascolarizzazione coronarica versus terapia medica ottimale-OMT) nei pazienti con diabete mellito (DM) e cardiopatia ischemica stabile (SIHD) è ancora dibattuta. In questa revisione sistematica della letteratura e meta-analisi, gli Autori hanno analizzato 5.742 pazienti da 4 trial con lo scopo di valutare i risultati clinici a lungo termine della rivascolarizzazione coronarica mediante angioplastica percutanea o bypass aortocoronarico rispetto alla OMT in pazienti con DM e SIHD. La rivascolarizzazione non è risultata associata a una riduzione significativa del rischio di eventi cardiovascolari maggiori rispetto alla OMT [hazard ratio, (intervallo di confidenza al 95%): 0,95 (0.85- 1.05), p=0.31; I2: 0%]. La scelta di procedere alla rivascolarizzazione in questi pazienti dovrebbe tener conto di altri parametri come la sintomatologia, l’anatomia coronarica, il grado di ischemia, la funzione ventricolare sinistra e la presenza di concomitanti comorbidità.
Il trattamento chirurgico dell’insufficienza tricuspidale (I.T.) isolata ha una alta mortalità, per cui l’utilizzo di dispositivi inseriti percutaneamente è divenuto progressivamente più frequente negli ultimi anni. La riparazione “edge to edge” con MitraClip fornisce risultati soddisfacenti, ma la presenza di un gap di coaptazione setto-laterale (CGS) ampio (>7.2 mm) ha sinora rappresentato un limite tecnico di questa metodica percutanea. Attualmente è a disposizione un modello di MitraClip (MitraClip XTR) con bracci più lunghi (12 mm) che potrebbero ovviare a questa limitazione, ma non ci sono tuttora dati su casistiche relativamente numerose.
Lo studio ISCHEMIA ha incluso pazienti con coronaropatia stabile (CCS) che avessero documentazione di ischemia almeno moderato/severa a uno stress test e li ha randomizzati a PCI più terapia medica ottimale versus solo terapia medica ottimale, non mostrando differenze sull’outcome a un follow-up mediano di 3.2 anni, in particolare rispetto a mortalità e infarto miocardico. Non è chiaro tuttavia se questo studio rappresenti la popolazione con CCS attualmente sottoposta a PCI oppure un sottogruppo a rischio non elevato.
La funzione del ventricolo destro (RV) è importante per determinare l’outcome dei pazienti sottoposti a trattamento dell’insufficienza mitralica funzionale (FMR) per mezzo dell’intervento trans-catetere riparativo “edge to edge” (TEER). Mentre è noto il ruolo prognostico della funzione RV una volta eseguito l’intervento (in particolare l’effetto favorevole di un recupero di funzione post-TEER -1-), non è chiaro ancora tuttavia quanto importante sia la funzione basale RV nel guidare la decisione di intervenire o meno per trattare la FMR. Questo gap conoscitivo dipende dal fatto che la funzione RV è stata indagata generalmente utilizzando il “tricuspid annular plane systolic excursion” (TAPSE), che utilizza una singola componente dimensionale della funzione contrattile, trascurando inoltre il ruolo del post-carico del RV.
Nei pazienti con cardiopatia ischemica e disfunzione ventricolare sinistra la ricerca della vitalità è stata a lungo considerata decisiva per individuare i pazienti con miocardio ibernato che possono maggiormente beneficiare da interventi di rivascolarizzazione. Benchè alcuni studi osservazionali abbiano fornito supporto a tale ipotesi, il recente trial randomizzato STICH non ne ha confermato la validità. Infatti i dati dello STICH non indicano una significativa interazione statistica tra pazienti che mostrassero o meno presenza di vitalità prima della rivascolarizzazione per quanto riguarda il beneficio dalla rivascolarizzazione, anche se tali risultati non possono essere considerati definitivi data la scarsa numerosità dei pazienti senza evidenza di vitalità arruolati in quel trial (19% della popolazione randomizzata). Restano senza risposta alcuni interrogativi tra i quali: il miocardio ibernato può essere modificato dalla rivascolarizzazione miocardica? E questo “reversal” della ibernazione si traduce sempre in un recupero contrattile? A essi tenterà di rispondere lo studio REVIVED-BCIS2 che arruolerà 700 pazienti con disfunzione ventricolare sinistra (FE ≤35%) su base ischemica, vitalità miocardica dimostrata in almeno 4 segmenti, randomizzati a PCI o terapia medica ottimale. Lo studio testerà l’ipotesi che la sopravvivenza di pazienti con miocardio disfunzionante ma vitale possa essere migliorata dalla rivascolarizzazione percutanea. Per le sue caratteristiche di arruolamento sarà il primo ampio studio prospettico a valutare strategie di trattamento basate sulla presenza di vitalità in pazienti ischemici con disfunzione ventricolare sinistra.
L’impatto prognostico del genere femminile nei pazienti con infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) sottoposti ad angioplastica coronarica primaria (pPCI) rimane oggetto di intenso dibattito. In questo studio multicentrico, gli Autori hanno analizzato 4.370 STEMI consecutivi trattati con pPCI (27.2% donne) da due registri prospettici con lo scopo di valutare il ruolo del genere femminile come predittore indipendente di mortalità cardiaca e per tutte le cause a 30 giorni e 1 anno di follow-up. Il tasso di sopravvivenza a 30 giorni e a 1 anno è risultato significativamente inferiore nelle donne (p<0,001). All’analisi di regressione Cox, il sesso femminile è risultato indipendentemente associato a un aumentato rischio di mortalità per tutte le cause [hazard ratio (HR): 2.09; 95% intervallo di confidenza (CI): 1,45-3,01, p<0,001] e mortalità cardiaca (HR 2.03; 95% CI: 1.41-2.93, p<0.001) a 30 giorni. A un anno, un aumentato rischio di mortalità per tutte le cause (HR 1.45; 95% CI: 1.16-1.82, p<0.001) e cardiaca (HR 1.51; 95% CI: 1.15 – 1.97, p<0.001) è stato documentato nelle donne. Tali evidenze risultavano confermate anche all’analisi “propensity-matching”.
La letteratura attuale non dà una risposta precisa a questa domanda, perchè non sono stati condotti studi di confronto tra ASA e clopidogrel in una popolazione di pazienti sottoposti a impianto di stent medicato per una coronaropatia acuta o stabile, e che abbiano completato il periodo di doppia antiaggregazione (DAPT). Uno studio di ampie dimensioni, il CAPRIE, aveva peraltro confrontato, 25 anni orsono, questi due farmaci in pazienti con varie manifestazioni di malattia aterotrombotica, ma senza includere pazienti con impianto di stent (gli stent medicati a quel tempo non erano ancora disponibili).
L’argomento è di notevole importanza clinica e le informazioni in proposito derivano solo da meta-analisi, sul cui esito Journal Map ha già dedicato spazio e commenti.
È noto come le concentrazioni di NT-proBNP si correlino al quadro clinico nei pazienti con scompenso cardiaco e frazione di eiezione ridotta (HFrEF) e come, in particolare, valori elevati rappresentino un fattore prognostico negativo. Del pari noto, è il dato che le variazioni nel tempo di questo parametro diano informazioni sull’evoluzione della cardiopatia.
Concentrazioni in discesa si associano a una prognosi migliore e possono significare il verificarsi di un rimodellamento cardiaco favorevole. Dati recenti hanno mostrato come il trattamento con empagliflozin e dapagliflozin (farmaci antidiabetici che bloccano i recettori SGLT2 situati a livello del tubulo renale
prossimale aumentando in questo modo aumentando l’escrezione urinaria di glucosio) produca effetti benefici in tali pazienti, riducendone la mortalità e i nuovi ricoveri per scompenso
Le Linee Guida attuali raccomandano una astensione dalla guida per tre mesi in caso di impianto di defibrillatore in prevenzione secondaria (o dopo uno shock appropriato del dispositivo) e per un mese se l’impianto è in prevenzione primaria. Tuttavia, ci sono pochi studi dedicati all’aderenza a tali restrizioni e all’impatto che può avere il ritorno alla guida di tali pazienti e sul possibile rischio di incidenti stradali.
Dalla letteratura internazionale, Editoriale
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