Dalla letteratura internazionale

La misurazione della riserva coronarica può essere utile in aggiunta alla riserva frazionale di flusso per definire il significato fisiopatologico delle stenosi coronariche di grado intermedio?

Come noto, la Fractional Flow Reserve (FFR) è di grande utilità nel definire il significato fisiopatologico delle stenosi coronariche e l’utilità di un loro trattamento invasivo. Tuttavia, per valori di FFR compresi tra 0.80 e 0.75 (zona grigia di incertezza) esistono dati controversi su una effettiva utilità dell’angioplastica coronarica (PCI) nel migliorare l’outcome dei pazienti. Quando l’FFR presenta valori compresi entro questo intervallo, la misurazione della Riserva coronarica (CFR definita come rapporto tra flusso coronarico in condizioni di iperemia massima diviso per il flusso basale, un indice fisiologico che riflette eventuali limitazioni di flusso della circolazione coronarica incluso il microcircolo) potrebbe offrire un ulteriore elemento di valutazione, il cui effettivo valore prognostico aggiuntivo rimane tuttavia incerto.

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Syndrome di HEYDE: il rischio di sanguinamento gastrointestinale diminuisce dopo intervento di TAVI?

La sindrome di Heyde è caratterizzata dalla concomitanza di stenosi aortica, sindrome di von Willebrand acquisita (per proteolisi dei multimeri del fattore di von Willebrand causata dall’elevato shear stress a livello della valvola stenotica) e angiodisplasie (dilatazioni di capillari arteriosi e venosi nella mucosa gastrointestinale). Tale associazione, che comporta un alto rischio emorragico, è presente sino al 10% dei pazienti con stenosi aortica (anche se tale percentuale potrebbe essere sottostimata per le difficoltà a diagnosticare le angiodisplasie), ma si riduce notevolmente dopo intervento di sostituzione valvolare. Non è nota, invece, l’evoluzione di queste alterazioni dopo intervento di TAVI.

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Acute Kidney Injury (AKI): può una campagna di prevenzione ridurne l’incidenza dopo procedure di diagnostica o interventistica coronarica?

Benché la problematica del verificarsi di AKI, dopo procedure diagnostiche e interventistiche, sia nota da tempo e molta letteratura sia stata prodotta su questo argomento, molti semplici provvedimenti per ridurne l’incidenza (idratazione adeguata, attenzione alla quantità del mezzo di contrasto usato sono disattese nella pratica clinica. Non è noto se un programma basato su interventi educazionali, supporto nelle decisioni cliniche, valutazioni tramite audit e feedback possano tradursi in una riduzione significativa di questa complicanza e in migliori risultati clinici.

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TAVI o cardiochirurgia per la stenosi aortica severa a rischio operatorio moderatamente elevato?

L’intervento di TAVI, inizialmente effettuato in pazienti con alto rischio per la chirurgia valvolare (SAVR) o con età molto avanzata, si è successivamente esteso a categorie di pazienti con minor rischio operatorio, grazie al miglioramento tecnologico, in particolare dei materiali utilizzati e alla maggiore esperienza degli operatori. Le Linee Guida ESC suggeriscono di considerare, nella scelta tra le due procedure, una serie di variabili cliniche (tra cui l’età e il rischio chirurgico), anatomiche e procedurali (tra cui il “mismatch” paziente/protesi e la possibilità di effettuare la TAVI per accesso femorale) e la eventuale necessità di correggere chirurgicamente altre patologie valvolari o coronariche concomitanti.

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Interventi di “TAVI redo”: ha importanza il tipo di protesi valvolare impiantata sul successo del nuovo intervento e sulla prognosi?

La TAVI, preferibilmente effettuata in pazienti anziani con stenosi aortica severa è, tuttavia, sempre più eseguita in pazienti giovani con lunga attesa di vita. Si pone quindi il problema di verificare l’efficacia delle procedure “redo” quando esse si rendono necessarie per malfunzionamento della protesi originale (procedure TAV-in-TAV) e di affrontare le problematiche connesse al tipo di valvola inizialmente impiantata (“ballon expandable” –b- o “selfexpandable”-s-) e a quella da utilizzare per il reimpianto.

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Quale tecnica deve guidare la PCI: IVUS o FFR? lo studio FLAVOUR

Le Linee Guida ESC sulla rivascolarizzazione miocardica raccomandano l’esecuzione di FFR per valutare il significato fisiopatologico di una lesione coronarica di grado intermedio (classe I, livello di evidenza A) sulla base dello studio FAME, pubblicato nel 2009, che ha dimostrato come la PCI guidata da FFR si accompagni a un minor numero di eventi cardiovascolari (morte, infarto, rivascolarizzazioni) a 1 anno, rispetto a una PCI guidata dall’angiografia. Le stesse Linee Guida riservano, per l’uso dell’IVUS, durante PCI una raccomandazione di classe IIa per la valutazione della severità delle stenosi sul tronco comune della coronaria sinistra. Non ci sono studi che abbiano confrontato l’outcome dei pazienti sottoposti a PCI con guida FFR, rispetto alle procedure interventistiche eseguite con guida IVUS (una tecnica che fornisce informazioni di tipo anatomico più dettagliate e precise di quelle offerte dall’angiografia). Questo gap conoscitivo è colmato dallo studio FLAVOUR (Fractional Flow Reserve and Intravascular Ultrasound-Guided Intervention Strategy for Clinical Outcomes in Patients with Intermediate Stenosis) eseguito in centri della Corea del Sud e della Cina.

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Effetti dell’angioplastica coronarica nei pazienti con disfunzione ventricolare sinistra su base ischemica: lo studio revived.

I pazienti con disfunzione ventricolare sinistra, su base ischemica, traggono vantaggio dall’intervento di bypass aortocoronarico: lo studio STICH ha mostrato infatti una riduzione della mortalità rispetto alla terapia medica ottimale, anche se questo beneficio si è manifestato quando il follow-up è stato esteso a 10 anni. Non sappiamo se un analogo vantaggio in termini prognostici si possa ottenere con un intervento di PCI. Non è chiaro, poi, se la rivascolarizzazione possa ripristinare una contrattilità adeguata di aree ipoperfuse e disfunzionanti ma vitali, condizione nota come “miocardio ibernato”.

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Stenosi aortica severa a rischio chirurgico intermedio: confronto a 5 anni dei risultati ottenuti con TAVI e con sostituzione valvolare

Gli studi di confronto tra TAVI e chirurgia (SAVR), nei pazienti anziani con stenosi aortica severa e rischio intermedio (mortalità operatoria stimata a 30 giorni tra 3% e 15%), hanno mostrato risultati clinici simili per le due procedure. Tra questi, lo studio SURTAVI ha mostrato una non-inferiorità di TAVI rispetto a TAVR per un endpoint di morte per ogni causa e stroke invalidante a distanza di due anni dall’intervento. Tuttavia sono stati avanzati dubbi sulla durata nel tempo delle protesi impiantate per via percutanea, sottolinenando la necessità di follow-up prolungati per accertare eventuali differenze che si manifestino con il passare del tempo.

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Utilizzo sistematico della FFR nei pazienti sottoposti a coronarografia: quali vantaggi può comportare?

Le linee guida raccomandano l’utilizzo di FFR per stabilire il significato fisiopatologico di una stenosi, ritenuta all’angiografia di grado intermedio, prima di eseguire una PCI in assenza di una documentazione di ischemia miocardica. Tuttavia, l’uso di FFR è ancora modesto (circa il 10% delle procedure di PCI) verosimilmente per il costo addizionale che esso comporta. Lo studio RIPCORD ha dimostrato come, eseguendo una FFR prima di indirizzare un paziente verso un intervento di rivascolarizzazione, la decisione clinica venga mutata nel 26% dei casi. In quello studio tutti i vasi coronarici venivano testati con FFR (“RIPCORD concept”). Non è chiaro, tuttavia, quale siano le conseguenze di tale condotta, in particolare se conduca a vantaggi o svantaggi sui costi ospedalieri e sulla qualità di vita dei pazienti.

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Trombosi endoventricolare nell’infarto STEMI a sede anteriore e rischio embolico: può essere utile una profilassi con rivaroxaban?

La trombosi endoventricolare è una complicanza dell’infarto miocardico a ST sopraslivellato (STEMI), soprattutto a sede anteriore, che è andata riducendosi negli ultimi anni con l’utilizzo delle terapie riperfusive. La sua incidenza oscilla nelle varie casistiche tra il 4% ed il 26%. Un trattamento antitrombotico profilattico composto da doppia terapia antipiastrinica (DAPT) associata ad antagonista della vitamina K è stato abbandonato per l’elevato rischio emorragico ad esso correlato. Non sono disponibili, attualmente, dati controllati sull’utilizzo di anticoagulanti orali diretti in associazione ad antipiastrinici per questa condizione clinica.

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