Dalla letteratura internazionale

Diagnosticare una fibrillazione atriale attraverso il loop recorder diminuisce il rischio di ictus?

La fibrillazione atriale è un’aritmia a decorso spesso asintomatico, che può complicarsi con la comparsa di ictus, con probabilità 5 volte maggiore rispetto a soggetti senza questa aritmia. Per tale motivo le linee guida della Società Europea di Cardiologia raccomandano metodologie di screening, anche se non ci sono studi che documentino come in questo modo si possa ridurre l’incidenza di ictus.

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Bypass aortocoronarico (CABG) o angioplastica coronarica (PCI) nelle stenosi del tronco comune della coronaria sinistra (LM): per questo annoso problema è possibile raggiungere una soluzione condivisa?

Sono stati condotti quattro studi (SYNTAX LEFT MAIN: 705 pazienti; PRECOMBAT 600 pazienti, NOBLE 1.201 pazienti; EXCEL 1.905 pazienti) per dare una risposta al quesito posto dal titolo. I risultati di questi trial non sono stati tuttavia concordanti e hanno dato vita a un’accesa discussione (se non aspra contesa) tra cardiochirurghi e cardiologi interventisti. Le meta-analisi, sin qui effettuate, hanno utilizzato solo i dati aggregati dei vari trial e non i dati dei singoli pazienti, non hanno distinto tra infarti spontanei e peri-procedurali (questi ultimi peraltro diagnosticati con criteri differenti) e non hanno considerato un periodo di follow-up adeguato (almeno 5 anni).

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Anticoagulanti orali diretti a metà dose dopo chiusura dell’auricola: la scelta vincente?

La terapia antitrombotica standard consigliata dopo chiusura dell’auricola (LAAC) con dispositivo Watchman, consiste nella somministrazione di anticoagulante e ASA per 45 giorni per evitare la trombosi del device (DRT) o fenomeni tromboembolici (TE) precoci, seguita da doppia terapia anti-aggregante con ASA e clopidogrel per 4.5 mesi prima di passare ad ASA in monoterapia. Questa strategia, tuttavia, è ampiamente empirica; da un lato può essere causa di bleeding, dall’altro non considera l’inefficacia della terapia antiaggregante nella prevenzione di TE. Infatti, la “miopatia atriale”, correlata alla presenza di fibrillazione atriale, può essere causa di TE, indipendentemente dalla concomitanza o meno dell’aritmia. È necessario, perciò, testare nuove strategie di terapia antitrombotica in questi pazienti.

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Qual è la progressione delle ulcere aortiche penetranti asintomatiche?

L’ulcera aortica penetrante (PAU) rappresenta una delle componenti delle sindromi aortiche acute e consiste in un’ulcerazione che, superando l’intima e la lamina elastica, si approfonda nella media. Benchè riconosciuta come entità clinica da oltre 30 anni, la letteratura è scarsa e discordante sulla sua evoluzione e, di conseguenza, sul suo trattamento. Infatti, spesso la presentazione clinica è completamente silente e la diagnosi viene posta incidentalmente in seguito all’esecuzione di una TAC per altri motivi. Non ci sono dati certi sulla storia naturale della PAU asintomatica, una lacuna che dà incertezza anche sulla necessità del suo trattamento interventistico.

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Ticagrelor o clopidogrel nelle sindromi coronariche acute? dati del mondo reale.

La scelta dell’inibitore del recettore P2Y12 da associare all’ASA nei pazienti con sindrome coronarica acuta (ACS), è tuttora oggetto di controversia. Lo studio PLATO, pubblicato nel 2009, ha mostrato che ticagrelor rispetto a clopidogrel ha ridotto gli eventi trombotici e la mortalità cardiovascolare, pur aumentando contemporaneamente le complicanze emorragiche. Tuttavia, studi e analisi successive non hanno confermato tale superiorità. Inoltre, i pazienti inseriti nei trial hanno caratteristiche cliniche e angiografiche differenti da quelli osservati nel mondo reale. Pare perciò necessaria una conferma dei risultati dei trial utilizzando dati osservazionali.

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Associazione tra escrezione urinaria di sodio e potassio e rischio cardiovascolare

Un alto consumo di sodio, causa maggiore di ipertensione, è considerato un fattore alimentare associato ad elevato rischio cardiovascolare. Tuttavia, gli studi in proposito sono stati spesso contrastanti, per errori metodologici quali il dosaggio della sodiuria in un singolo prelievo di urina delle 24 ore o in assenza di concomitante determinazione della kaliuria. Inoltre, molti pazienti fragili o con co-patologie riducono il consumo di sodio prima che si verifichi un evento cardiovascolare, generando l’idea che anche un basso consumo di sodio sia da considerare un fattore di rischio cardiovascolare (“reverse causation bias”).

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Prognosi a lungo termine dopo arresto cardiaco extraospedaliero nei pazienti che sopravvivono alla fase acuta.

La sopravvivenza dei pazienti con arresto cardiaco extraospedaliero (OHCA) è piuttosto modesta e solo circa la metà riesce a superare la fase ospedaliera ed essere dimessa in vita. Tra i fattori che determinano un buon esito, importanti sono la prontezza delle manovre di rianimazione, l’età del paziente, il tipo di ritmo che ha scatenato l’arresto e la cura ospedaliera ricevuta. Mancano informazioni, tuttavia, sia sull’outcome che sui fattori prognostici a lungo termine, in particolare oltre il primo anno di follow-up, nei pazienti che riescono a sopravvivere alla fase acuta.

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Pazienti ad alto rischio emorragico sottoposti a PCI del tronco comune: eventi ad 1 anno di follow-up.

I pazienti con stenosi del tronco comune della coronaria sinistra rappresentano un gruppo ad alto rischio di eventi se non adeguatamente rivascolarizzati. Benchè questa condizione anatomica sia stata considerata a lungo di pertinenza chirurgica, un numero consistente di pazienti con comorbilità o anatomia favorevole sono sottoposti a rivascolarizzazione percutanea con PCI. Questi erano più anziani (età media 75.5 versus 64 anni), con più comorbilità (diabete, arteriopatia periferica, nefropatia, scompenso cardiaco, presentazione con NSTEMI) Syntax score più elevato, più lesioni calcifiche e necessità di supporto circolatorio meccanico, rispetto ai pazienti non-HBR. Inoltre, i pazienti HBR venivano dimessi con inibitori del recettore P2Y12 meno potenti (25.1 vs 49.1%). A 1 anno di follow-up l’endpoint primario (morte per ogni causa, infarto miocardico, ictus), è stato osservato nel 20.5% dei pazienti HBR e nel 4.9% dei pazienti non-HBR (unadjusted hazard ratio 4.43, 95% confidence intervals 2.31 – 8.48) trascinato da un rischio più elevato di mortalità e nuovo infarto miocardico. I dati relativi agli eventi che compongono l’endpoint sono espressi nella Tabella. Anche il bleeding (valutato con la scala National Cardiovascular Data CathPCI Registry: bleeding ospedaliero associato ad una perdita di 3g di emoglobina, con necessità di trasfusione o intervento; bleeding post-dimissione che ha necessitato di ricovero o trasfusione) è risultato più elevato nei pazienti HBR con ampia differenza soprattutto nel bleeding ospedaliero (10.2% vs 2.5%). Nessuna differenza, invece, è stata osservata per necessità di nuove rivascolarizzazioni o per trombosi di stent.

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Quali sono le informazioni che la tc coronarica può dare sulla presenza di placche vulnerabili?

FAI (Fat Attenuation Index) è un “imaging biomarker” derivato dall’analisi della TC coronarica che si correla con l’infiammazione delle pareti vascolari a livello di placche “vulnerabili”.
L’infiammazione, infatti, altera il fenotipo del grasso perivascolare riducendo la differenziazione dei pre-adipociti in adipociti maturi. Si ha così uno “shift” da tessuto adiposo ad acquoso, che si traduce in una modificazione del grado di attenuazione (riduzione dei valori densitometrici) del grasso perivascolare. Questo presenta valori meno negativi di unità Hounsfield [HU] (più vicini a –30 HU) tipici del tessuto acquoso rispetto a quello lipidico caratterizzato da valori HU più negativi (vicini a -190 HU). Non ci sono molti dati tuttavia di correlazione tra l’indice FAI e la morfologia delle placche coronariche in pazienti con sindrome coronarica acuta senza sopra-slivellamento persistente del tratto ST (NSTEACS).

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Bypass aortocoronarico eseguito utilizzando uno o più condotti arteriosi a confronto con pci. risultati a 10 anni dello studio SYNTAX.

Il confronto dei risultati clinici a distanza nei pazienti con malattia coronarica multivasale trattati con PCI o bypass aortocoronarico (CABG) è oggetto di controversia. Lo studio SYNTAXES (Synergy between PCI with Taxus and Cardiac Surgery Extended Survival) con follow-up a 10 anni ha dimostrato una riduzione della mortalità globale utilizzando CABG rispetto a PCI eseguita con impianto di stent Taxus nei pazienti con malattia coronarica trivasale (3VD), ma non nei pazienti con malattia del tronco comune della coronaria sinistra (LMD). In quello studio il 36.8% dei pazienti trattati con CABG aveva ricevuto almeno 2 graft arteriosi (MAG), mentre i restanti pazienti un singolo graft arterioso (SAG), generalmente per l’arteria discendente anteriore (99.8%). È stata dimostrata la maggiore efficacia a distanza degli interventi di CABG che abbiano utilizzato la doppia mammaria rispetto al solo utilizzo della arteria mammaria sinistra. Tuttavia non è noto se la migliore sopravvivenza a lungo termine osservata con CABG rispetto a PCI si ottenga grazie all’utilizzo di MAG oppure sia presente anche quando viene confezionato solo SAG.

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