Dalla letteratura internazionale

Come trattare una ristenosi: i risultati a 10 anni dello studio ISAR-DESIRE 3.

La ristenosi dello stent non è più un problema assillante come lo fu nei primi tempi della storia della angioplastica coronarica (PCI), essendosi nettamente ridotta la sua incidenza con l’avvento dei DES; tuttavia ampie casistiche recenti mostrano come circa il 10% delle attuali procedure di PCI siano effettuate per ristenosi di lesioni precedentemente dilatate. . Quale sia la modalità migliore del suo trattamento è tuttora controverso: una metanalisi recente, basata sui dati individuali di pazienti (patientlevel), mostra un miglior esito, a tre anni di follow-up, se la ristenosi è sottoposta a un nuovo impianto di DES piuttosto che a semplice dilatazione utilizzando palloncini ricoperti di farmaco (“drug-coated balloons” – DCB). Non sono disponibili dati di confronto tra queste due metodiche per follow-up più prolungati.

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Trattamento dell’insufficienza tricuspidalica con dispositivi percutanei: è giunta l’ora?

La patologia della valvola tricuspidale è stata a lungo dimenticata, e il suo trattamento considerato per lo più quando vi è una concomitante patologia del cuore sinistro che ne condiziona l’insorgenza e la progressione. Solo recentemente è stata rivolta l’attenzione alle forme “isolate” di insufficienza tricuspidalica (TR), cioè quelle che si sviluppano in assenza di una cardiopatia strutturale, e al loro outcome ed il trattamento si riduce sostanzialmente ad una terapia medica basata sull’uso di diuretici. Ultimamente, sono stati riportati dati favorevoli con tecniche di riparazione transcatetere (TEER) della TR, utilizzando dispositivi analoghi a quelli usati nel trattamento percutaneo dell’insufficienza mitralica.

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Trattamento percutaneo dell’insufficienza mitralica secondaria in pazienti scompensati: i risultati dello studio COAPT a 5 anni.

L’insufficienza mitralica (I.M.) funzionale che si accompagna all’evoluzione delle miocardiopatie ischemiche e non-ischemiche ha importante valore prognostico. Il suo trattamento percutaneo, mediante impianto di MitraClip (TEER), ha migliorato l’outcome dei pazienti rispetto alla terapia medica ottimale nello studio COAPT a due anni dall’intervento(2(Stone GW, Lindenfeld J, Abraham WT, et al. Transcatheter mitral-valve repair in patients with heart failure. N Engl J Med 2018; 379: 2307-18.)Non è noto quale possa essere il decorso dei pazienti trattati nel prosieguo del follow-up.

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Rivascolarizzazione completa nel paziente multivasale con sindrome coronarica acuta: qual è la tempistica migliore per ottenerla?

Una rivascolarizzazione completa nei pazienti multivasali con sindrome coronarica acuta (ACS) migliora la prognosi rispetto a una rivascolarizzazione della sola lesione culprit, soprattutto nei pazienti STEMI. Tuttavia la tempistica della procedura rimane non definita, non essendovi studi definitivi che abbiano confrontato l’effettuazione della rivascolarizzazione percutanea in una unica procedura oppure in procedure successive.

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Rischio lipidico e rischio infiammatorio: quale pesa maggiormente sulla prognosi dei pazienti che assumono statine?

I pazienti affetti da malattia cardiovascolare sono potenziali candidati a nuovi eventi, se non viene adeguatamente controllato sia il rischio residuo derivante da livelli elevati di colesterolo LDL che il rischio infiammatorio. Quale dei due maggiormente contribuisca al verificarsi di successivi eventi cardiovascolari, una volta che il paziente sia posto in terapia con statine, non è ancora noto.

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Lesioni complesse sottoposte a PCI: quanto è utile l’imaging intracoronarico?

È noto come la guida intravascolare (soprattutto la ultrasonografia intracoronarica –IVUS) sia utile sia per favorire la sede e la dimensione degli stent da utilizzare durante le procedure di PCI che per ottimizzarne l’impianto. Gli studi in proposito sono indicativi di questo beneficio, ma hanno delle limitazioni, perché talora eseguiti in casistiche sottodimensionate o in gruppi di pazienti definiti in base a singole caratteristiche anatomiche. Nessuno studio di ampie dimensioni ha indagato l’utilità dell’utilizzo dell’IVUS nelle procedure di PCI complesse, la cui esecuzione è più impegnativa e il cui esito a distanza meno favorevole.

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TC coronarica con misurazione on-site della FFR: strategia diagnostica vincente rispetto ai test funzionali?

L’utilizzo della TC coronarica (CCT) permette la visualizzazione anatomica dell’albero coronarico, ma spesso la quantizzazione della stenosi non corrisponde al dato fornito dalla coronarografia invasiva. Inoltre, nel riscontro di lesioni intermedie, il ricorso a test funzionali è ancora molto alto. L’utilizzo della FFR, utilizzando algoritmi basati sulla dinamica dei fluidi, consente di migliorare la specificità dell’ indagine e ridurre il numero di pazienti inviati all’esame invasivo ma è basato su una costosa valutazione offline.

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Anticoagulante durante PCI primaria: bivalirudina o eparina?

Gli studi di confronto tra eparina non frazionata (UFH) e bivalirudina (BIVA – un inibitore diretto della trombina con breve emivita), in pazienti STEMI sottoposti a PCI primaria sono stati condizionati da numerosi fattori che hanno contribuito all’esito dei trial. La sequenza degli studi di confronto ha mostrato come UFH debba essere utilizzata in monoterapia, mentre BIVA debba essere somministrata proseguendo l’infusione anche al termine della procedura di PCI.

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Indicazioni alla chirurgia nell’insufficienza mitralica degenerativa: è tempo di un “paradigm shift”?

Le indicazioni di classe I per il trattamento dell’insufficienza mitralica degenerativa raccomandano di considerare, soprattutto, la presenza di sintomi o una riduzione della funzione ventricolare sinistra. É noto, tuttavia, che un aumento delle dimensioni atriali (≥60 mL/m2-LAVI-), della pressione polmonare elevata (≥50 mmHg – PH-), la concomitanza di fibrillazione atriale (AF) e di insufficienza tricuspidalica moderato/severa (MSRT) hanno un peso prognostico rilevante in questi pazienti, anche se non costituiscono elementi che permettano di porre una indicazione chirurgica di classe I. Non è noto se questi marker secondari di outcome condizionino anche la prognosi di questi pazienti dopo l’intervento chirurgico.

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Disfunzione protesica in sede aortica dopo intervento cardiochirurgico o TAVI: qual è più precoce?

L’impianto transcatetere di protesi valvolare aortica (TAVI) si è notevolmente diffuso negli ultimi anni, non essendo più riservato solamente a popolazioni molto anziane ad alto rischio chirurgico. Una delle maggiori perplessità, tuttavia, di questa espansione di indicazioni è rappresentato dai dubbi circa la durata della valvola in quanto un reintervento in un paziente che ha ricevuto una TAVI può essere gravato da complicanze procedurali, maggiori di quelle osservate a seguito di un primo impianto.

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