Impatto di bleeding e infarto miocardico sulla mortalità per ogni causa nel paziente coronaropatico: una analisi temporale

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Indice

Inquadramento

Qual è il peso prognostico di un infarto miocardico (MI) e di un sanguinamento maggiore nei pazienti con sindrome coronarica acuta (ACS) o malattia coronarica sottoposta ad angioplastica coronarica (PCI)? Uno studio importante basato su un’ampia casistica, pubblicato qualche anno fa[1]Valgimigli M, Costa F, Lokhnygina Y, et al. Trade-off of myocardial infarction vs. bleeding types on mortality after acute coronary syndrome: Lessons from the Thrombin Receptor Antagonist for … Continua a leggere aveva risposto al quesito indicando che l’impatto sulla mortalità a seguito di uno di questi eventi è analogo. Da qui il compito, talora arduo, del cadiologo clinico soprattutto nella prevenzione secondaria delle ACS: personalizzare la terapia antitrombotica nel singolo paziente tenendo conto del rischio preminente del paziente, sia esso ischemico o emorragico. Tuttavia non è ancora chiaro se il peso prognostico varia a seconda che gli eventi ischemici o emorragici avvengano a ridosso della fase acuta o nel corso del successivo follow-up.

Lo studio in esame

Metanalisi comprendente 141.059 pazienti inclusi in 16 studi (mediana età 63.7 anni 63% ACS, 91% trattati con PCI). Globalmente il rischio di mortalità era simile per MI e bleeding maggiore (valutato con scala BARC ≥3) con hazard ratio -HR- 4.10 (95% CI, 3.34-5.03) e 4.44 (95% CI, 3.02-6.52) rispettivamente.
Considerando solo gli eventi precoci (periprocedurali o entro 30 giorni dall’evento indice) il rischio di mortalità appariva maggiore per bleeding rispetto a MI, mentre rimaneva simile per gli eventi tardivi (vedi Tabella). Se si includevano nella analisi, tuttavia, solo gli studi randomizzati non si notava alcuna differenza prognostica tra bleeding e MI, anche considerando solo gli eventi precoci.

Take home message

Le emorragie e gli MI si associano a un analogo aumento del rischio di mortalità, tuttavia una emorragia precoce potrebbe comportare una prognosi peggiore rispetto a un MI precoce.

Interpretazione dei dati

Lo studio ribadisce l’equivalenza di MI e bleeding per quanto riguarda il rischio di mortalità per ogni causa, confermando analisi precedenti[2]Valgimigli M, Costa F, Lokhnygina Y, et al. Trade-off of myocardial infarction vs. bleeding types on mortality after acute coronary syndrome: Lessons from the Thrombin Receptor Antagonist for … Continua a leggere. Il maggior peso prognostico del bleeding precoce rispetto a MI conferma i dati dello studio MATRIX sull’importanza di evitare il sanguinamento periprocedurale utilizzando l’accesso radiale rispetto a quello femorale[3]Valgimigli M, Gagnor A, Calabró P, et al. Radial versus femoral access in patients with acute coronary syndromes undergoing invasive management: A randomised multicentre trial. Lancet. … Continua a leggere. Va anche ricordato che gli MI precoci sono spesso procedurali, eventi che non incidono sull’outcome successivo quanto gli MI spontanei, come dimostra anche la recente analisi dello studio ISCHEMIA[4]Chaitman BR, Alexander KP, Cyr DD, et al. Myocardial Infarction in the ISCHEMIA Trial. Impact of Different Definitions on Incidence, Prognosis, and Treatment Comparisons. Circulation. … Continua a leggere. Non sorprende perciò che il peso prognostico del bleeding procedurale sia superiore rispetto a quello degli MI.

L’opinione di Fabio Mangiacapra

Università Campus Bio-Medico di Roma

Negli ultimi mesi è stata spesso proposta la metafora del nostro Paese visto come una barca che naviga tra due scogli: da una parte l’epidemia da SARS-COV-2 e dall’altra il disastro socio-economico derivante dalle misure di contenimento del virus. La navigazione in acque incerte, e talvolta burrascose, è pratica quotidiana da molto tempo per i Cardiologi interventisti e clinici che si cimentano con la scelta del trattamento ottimale in pazienti con sindrome coronarica acuta e/o sottoposti ad angioplastica coronarica. La ricerca di un equilibrio tra il rischio di eventi ischemici ed emorragici si basa su valutazioni individuali legate alle caratteristiche e alla storia clinica del singolo paziente, che spesso sfuggono alla logica dei grandi trial. La meta-analisi di Raffaele Piccolo ci aiuta però a identificare alcuni importanti punti di riferimento nella scelta della nostra rotta. La definizione dell’impatto prognostico di un sanguinamento, che risulta simile a quello di un infarto, impone un livello di attenzione quanto meno omogeneo nei confronti di queste due complicanze. È rassicurante che, grazie all’avanzamento tecnologico in fatto di device, l’esposizione alla doppia terapia antiaggregante piastrinica possa essere oggi ridotta al minimo (30 giorni o anche meno) dopo l’impianto di molti tipi di stent, senza che questo rappresenti necessariamente un elemento di aumentato rischio di complicanze ischemiche. Inoltre, come emerge in modo chiaro dalla letteratura, mentre le misure volte a ridurre gli eventi emorragici si traducono in un beneficio in termini di mortalità, le strategie preventive nei confronti degli eventi ischemici non si associano a un inequivocabile incremento di sopravvivenza. Alla luce di ciò, un atteggiamento più prudente in termini di elargizione di terapia antiaggregante potente e/o prolungata, possibilmente deciso sulla base di test genetici o di funzione piastrinica[5]Galli M, Benenati S, Capodanno D, Franchi F, Rollini F, D’Amario D, Porto I, Angiolillo DJ. Guided versus standard antiplatelet therapy in patients undergoing percutaneous coronary intervention: a … Continua a leggere, potrebbe essere auspicabile. L’ipotesi di un maggior peso prognostico delle emorragie precoci, rispetto agli infarti peri-procedurali che sembra emergere dallo studio in esame, impone ulteriori riflessioni. Bisogna innanzitutto ribadire, se ancora ce ne fosse bisogno, la necessità di privilegiare l’accesso radiale come principale misura non farmacologica per la prevenzione delle complicanze emorragiche (e non solo[6]Andò G, Cortese B, Russo F, et al. MATRIX Investigators. Acute Kidney Injury After Radial or Femoral Access for Invasive Acute Coronary Syndrome Management: AKI-MATRIX. J Am Coll Cardiol. 2017 May … Continua a leggere). L’evidenza a favore dell’approccio radiale in confronto a quello femorale, che emerge dalla letteratura e dalla pratica clinica di ciascuno di noi, è ormai inconfutabile. Tuttavia, la prevenzione dei sanguinamenti precoci non deve far distogliere l’attenzione dall’infarto periprocedurale che continua ad avere un peso prognostico rilevante[7]Bulluck H, Paradies V, Barbato E, et al. Prognostically relevant periprocedural myocardial injury and infarction associated with percutaneous coronary interventions: a Consensus Document of the ESC … Continua a leggere, e che rappresenta il vero tallone d’Achille dell’angioplastica coronarica nei confronti del trattamento conservativo, almeno nel contesto delle sindromi coronariche croniche. L’utilizzo dell’approccio radiale e di terapie farmacologiche aggiuntive (antitrombotiche e non), mirate alla protezione del microcircolo coronarico e del muscolo cardiaco, nel contesto dell’angioplastica coronarica potrebbe garantire il giusto equilibrio per ridurre al minimo il rischio di eventi peri-procedurali. In conclusone, dalla meta-analisi di Raffaele Piccolo emerge la necessità di mantenersi equidistanti dal rischio emorragico e da quello ischemico nella ricerca della strategia di trattamento ottimale per i nostri pazienti con sindrome coronarica acuta e/o sottoposti ad angioplastica coronarica. Tale equilibrio passa attraverso una attenta valutazione delle caratteristiche del singolo paziente, possibilmente coadiuvata dalle numerose scale di rischio che negli anni sono state prodotte e che semplificano la stima quantitativa delle probabilità (PARIS, PRECISE-DAPT, etc.). Proseguiamo quindi la navigazione con la barra al centro, distanti da Scilla e Cariddi in egual misura, nella speranza che l’avanzamento tecnologico e farmaceutico possa ulteriormente allontanare gli ostacoli dalla nostra rotta.

“A smooth sea never made a skillful mariner” Franklin D. Roosevelt

Bibliografia

Bibliografia
1, 2 Valgimigli M, Costa F, Lokhnygina Y, et al. Trade-off of myocardial infarction vs. bleeding types on mortality after acute coronary syndrome: Lessons from the Thrombin Receptor Antagonist for Clinical Event Reduction in Acute Coronary Syndrome (TRACER) randomized trial. Eur Heart J. 2017;38:804–10.
3 Valgimigli M, Gagnor A, Calabró P, et al. Radial versus femoral access in patients with acute coronary syndromes undergoing invasive management: A randomised multicentre trial. Lancet. 2015;385:2465–76.
4 Chaitman BR, Alexander KP, Cyr DD, et al. Myocardial Infarction in the ISCHEMIA Trial. Impact of Different Definitions on Incidence, Prognosis, and Treatment Comparisons. Circulation. 2021;143:790–804.
5 Galli M, Benenati S, Capodanno D, Franchi F, Rollini F, D’Amario D, Porto I, Angiolillo DJ. Guided versus standard antiplatelet therapy in patients undergoing percutaneous coronary intervention: a systematic review and meta-analysis. Lancet. 2021 Apr 17;397(10283):1470-1483. doi: 10.1016/S0140-6736(21)00533-X.
6 Andò G, Cortese B, Russo F, et al. MATRIX Investigators. Acute Kidney Injury After Radial or Femoral Access for Invasive Acute Coronary Syndrome Management: AKI-MATRIX. J Am Coll Cardiol. 2017 May 11:S0735-1097(17)36897-3. doi: 10.1016/j.jacc.2017.02.070.
7 Bulluck H, Paradies V, Barbato E, et al. Prognostically relevant periprocedural myocardial injury and infarction associated with percutaneous coronary interventions: a Consensus Document of the ESC Working Group on Cellular Biology of the Heart and European Association of Percutaneous Cardiovascular Interventions (EAPCI). Eur Heart J. 2021 May 31:ehab271. doi: 10.1093/eurheartj/ehab271

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