Stefano De Servi

Rivascolarizzazione percutanea nella sindrome coronarica acuta NON-ST elevation: basta trattare la lesione culprit?

Nei pazienti con infarto miocardico non ST elevation (NSTEMI) e coronaropatia multivasale, l’evidenza della letteratura mostra come una rivascolarizzazione estesa anche alle lesioni significative “non culprit” si associ a un migliore outcome a distanza rispetto al trattamentodella sola lesione “culprit”. Tuttavia ci sono pochi dati sulla strategia da seguire, ovvero sela rivascolarizzazione percutanea debba essere effettuata in una unica procedura (“one-stage”) oppure in più procedure (“multi-stage”). Solo un trial, lo studio italiano SMILE[1]Sardella G, Lucisano L, Garbo R, et al. Single-staged compared with multi-staged PCI in multivessel NSTEMI patients: the SMILE trial. J Am Coll Cardiol. 2016;67:264–272., ha approfondito questo aspetto e ha mostrato un migliore outcome clinico nei pazienti sottoposti a procedure “one-stage”, informando in tal senso le ultime Linee Guida della Società Europeadi Cardiologia (ESC) 2018 sulla rivascolarizzazione miocardica[2]. Dati di registro hanno tuttavia mostrato esiti contrastanti.

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Quale la causa dell’infarto a coronarie indenni da lesioni ostruttive? Cosa ci possono insegnare l’OCT e la risonanza magnetica cardiaca.

Una diagnosi di infarto miocardico in assenza di lesioni ostruttive coronariche (MINOCA) viene posta in pazienti, soprattutto di sesso femminile, con percentuali variabili tra il 6% e il 15% di tutti gli infarti. Il quadro clinico non è sempre chiaro e può essere confuso con condizioni che non hanno una causa ischemica, come le miocarditi.

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