Qual è la prognosi dei pazienti STEMI con presentazione tardiva?

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Indice

Inquadramento

Oltre il 10% dei pazienti con infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) si presenta a più di 12 ore dall’inizio dei sintomi. Le Linee Guida della Società Europea di Cardiologia (ESC) del 2017 al riguardo raccomandano l’angioplastica (PCI, Percutaneous Coronary Intervention) primaria in presenza di sintomi persistenti di ischemia miocardica (classe di raccomandazione I, livello di evidenza C), ma anche in loro assenza (classe IIa, livello di evidenza B). Tuttavia, i dati clinici al riguardo sono modesti e l’indicazione alla PCI primaria appare sorretta da un solo studio randomizzato, peraltro con endpoint surrogato[1]Nepper-Christensen L, Lønborg J, Høfsten DE, et al. Benefit from reperfusion with primary percutaneous coronary intervention beyond 12 hours of symptom duration in patients with … Continua a leggere. Dati che amplifichino la nostra esperienza al riguardo sono perciò molto utili.

Lo studio in esame

Nel registro nazionale coreano, di 5.826 pazienti consecutivi STEMI, 624 (10.7%) avevano una presentazione tardiva, con ingresso tra le 12 e 48 ore dalla insorgenza dei sintomi. Rispetto ai pazienti con ingresso entro 12 ore, essi erano più anziani, con maggior prevalenza di sesso femminile, diabete, anemia, classe Killip II e III (ma meno Killip IV) e malattia della discendente anteriore. Inoltre, una PCI primaria veniva eseguita meno frequentemente (88%) che nei pazienti con presentazione <12 ore. I “late presenters” avevano una mortalità maggiore a 180 giorni e a 3 anni (Tabella), senza differenze tra pazienti con ritardi di presentazione stratificati tra 12 e 48 ore. Alla analisi multivariata, tuttavia, la presentazione tardiva non risultava essere una variabile predittiva significativa di mortalità a 180 giorni, mentre la “strategia di non esecuzione di PCI” lo era (hazard ratio, HR aggiustato: 1.82; 95% CI: 1.37 to 2.43; p < 0.001).

Take home message

Questi dati mostrano come, all’aumentare del ritardo di presentazione, esista un rischio progressivo di non esecuzione della PCI primaria e di mortalità a distanza. All’attuale stato delle conoscenze, tuttavia, non è possibile individuare quali pazienti con presentazione tardiva possano beneficiare di un approccio invasivo.

Interpretazione dei dati

I pazienti STEMI con presentazione tardiva rappresentano tuttora un problema clinico irrisolto. Le indicazioni delle Linee Guida in proposito appaiono deboli, sorrette da modesta evidenza. Benché ci siano dati a favore di un utilizzo della PCI primaria anche per i pazienti con sintomi insorti tra le 12 e le 48 ore precedenti la presentazione, soprattutto sulla base di studi scintigrafici che mostrano, anche per questi pazienti, una riduzione dell’area infartuale rispetto all’area a rischio, mancano risultati clinici su ampie casistiche a supporto di questi dati. Lo studio in esame mostra come l’angioplastica primaria venga spesso negata ai pazienti che si presentano oltre le 12 ore dai sintomi. Interessante in questo studio notare come, dai risultati dell’analisi multivariata, i pazienti con presentazione tardiva avessero una prognosi peggiore che era tuttavia condizionata dalle condizioni cliniche generali e dalle co-patologie, piuttosto che dal ritardo di per sè. Confortante anche il dato dell’impatto benefico sulla prognosi della PCI primaria, ma il risultato potrebbe essere condizionato da un “bias” di scelta della popolazione trattata invasivamente, non completamente corretto dall’aggiustamento statistico.

L’opinione di Renato Valenti

Cardiologia Interventistica d’Urgenza Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi Firenze

La strategia terapeutica contemporanea nei pazienti con STEMI è basata su una tempestiva terapia riperfusiva, operata il più precocemente possibile, con lo scopo di limitare il danno necrotico del miocardio (infarct size), preservare la funzione ventricolare e migliorare la sopravvivenza a breve e lungo termine. È ormai noto, da circa mezzo secolo, che la morte dei miociti è direttamente correlata alla durata della ischemia e, dunque, alla durata della occlusione coronarica, con un fronte di onda che parte dal sub-endocardio e si estende alla zona epicardica. Questa conoscenza è stata il presupposto per la forte spinta adottata al fine di minimizzare i tempi di riperfusione/intervento ad ogni livello, tecnico-procedurale, ma anche e, forse soprattutto, al fine di migliorare/ottimizzare gli aspetti organizzativi della emergenza territoriale, dei percorsi inter ed intraospedalieri che conducono il paziente in sala di Emodinamica per essere sottoposto alla terapia riperfusiva meccanica (PCI primaria o diretta). Nel caso di presentazione tardiva dello STEMI (>12h), le attuali Linee Guida ESC del 2017[2]Ibanez B, James S, Agewall S, et al. 2017 ESC Guidelines for the management of acute myocardial infarction in patients presenting with ST-segment elevation: The Task Force for the management of acute … Continua a leggere, danno l’indicazione di procedere allo studio coronarografico e PCI primaria quando lo STEMI è associato a:

  • persistenza dei segni di ischemia;
  • instabilità emodinamica;
  • aritmie (classe I; livello di evidenza C).

Le stesse Linee Guida, però, si estendono anche alla raccomandazione che una “routinaria” PCI primaria dovrebbe essere considerata in caso di STEMI tardivo, seppur con un livello di classe inferiore (classe IIA, livello di evidenza B). La relazione fra il tempo e la morte cellulare dei miociti di cui sopra è però lineare, soprattutto nelle prime ore di ischemia. Nelle successive fasi, più tardive, tale relazione è influenzata anche da molti altri fattori e, ancora oggi, non sono completamente conosciuti i meccanismi attraverso cui il miocardio possa rimanere vitale dopo molte ore o giorni in carenza di ossigeno. Fra i fattori conosciuti abbiamo: una intermittente o parziale occlusione della coronaria, la presenza ed estensione di un circolo collaterale, il precondizionamento ischemico dei miociti, lo stato metabolico nel contesto di un miocardio ischemico. Inoltre, ai fini di una PCI primaria, la soglia temporale che definisce la presentazione tardiva di uno STEMI (>12h) è stata desunta dai risultati di studi con trattamento fibrinolitico, i quali non mostravano beneficio clinico e prognostico negli STEMI oltre le 12h, generando così la questione se fosse appropriato mutuare tale soglia temporale per la rivascolarizzazione meccanica con PCI. Diversi studi e sottoanalisi hanno mostrato che la rivascolarizzazione degli STEMI tardivi si associa a una quota di salvataggio miocardico significativo, ovviamente inferiore rispetto allo STEMI con presentazione precoce. Viene riportato che fino a 2/3 dei pazienti con STEMI tardivo possa essere raggiunto un indice di salvataggio del miocardio prossimo a 0.5 enfatizzando, anche in questo caso, il potenziale beneficio della rivascolarizzazione con PCI. Diversamente dai più datati studi di vitalità mediante metodo scintigrafico, più recentemente, a seguito dello studio della vitalità miocardica mediante risonanza magnetica cardiaca, non è stata dimostrata una forte associazione fra tempo di riperfusione e indici di severità della necrosi miocardica. Inoltre, a conferma di questo, il tempo di ischemia non è stato rilevato essere un forte predittore di una significativa quota di salvataggio del miocardio[3]Nepper-Christensen L, Lønborg J, Høfsten DE, et al. Benefit from reperfusion with primary percutaneous coronary intervention beyond 12 hours of symptom duration in patients with … Continua a leggere. È quindi possibile e auspicabile che i progressi della tecnologia e la disponibilità della risonanza magnetica cardiaca possano essere di aiuto per una tempestiva caratterizzazione dello stato del miocardio in alcuni pazienti prima di una PCI primaria nei pazienti a presentazione tardiva dello STEMI. Peraltro, le attuali Linee Guida sono supportate da un solo trial randomizzato di piccole dimensioni, il BRAVE-2(3), disegnato per testare una differenza in termini di endpoint surrogato (infarct size scintigrafico), ma sicuramente tale studio è sottodimensionato per testare gli endpoint clinici fra i pazienti sottoposti al trattamento invasivo con PCI rispetto a quelli trattati in modo conservativo con terapia medica. Nello studio, la rivascolarizzazione con angioplastica della coronaria “culprit”, nei pazienti con presentazione tardiva (12- 48h) dimostrò un beneficio sia in termini di “infarct size” finale che di indice di salvataggio. Il follow-up a 4 anni, pubblicato successivamente, dimostrò anche un beneficio prognostico in termini di sopravvivenza[4]Ndrepepa G, Kastrati A, Mehilli J, Antoniucci D, Schömig A. Mechanical Reperfusion and Long-term Mortality in Patients With Acute Myocardial Infarction Presenting 12 to 48 Hours From Onset of … Continua a leggere. È da sottolineare che l’arruolamento del trial escludeva i pazienti con ischemia/angina persistente (“ongoing ischemia”), shock cardiogeno/insufficienza cardiaca di grado severo, instabilità elettrica, ponendo il confronto nel contesto di pazienti stabili/asintomatici. Le indicazioni attuali delle Linee Guida, non sono quindi supportate da forti livelli di evidenza e, pertanto, anche ampi studi di registro, possono dare un contributo importante alla conoscenza clinica e scientifica. Lo studio del registro multicentrico coreano recentemente pubblicato, KAMIR-NIH (Korea Acute Myocardial Infarction Registry-National Institutes of Health), si colloca quindi in questo contesto. Notiamo che il registro nazionale coreano, seppur rappresentativo del “real world”, con una popolazione numericamente simile a quella della realtà italiana, ha arruolato, in 20 centri universitari di terzo livello con laboratorio di emodinamica, 6.366 infarti entro 48 ore in 5 anni, il che significa 1.273 casi per anno, con una media di poco più di 60 casi per centro (con una stima di 6 casi “late presenters” >12h per centro/anno). I risultati, intuitivamente attesi, mostrano che la mortalità a 180 giorni e a 3 anni è significativamente superiore nei 624 pazienti con presentazione di STEMI tardivo >12 ore rispetto alla coorte dei 5.202 pazienti con presentazione più precoce (<12h) dei sintomi. Oltre a questo orizzonte temporale di 12h, si riduce la probabilità di offrire un trattamento procedurale invasivo di rivascolarizzazione: infatti una PCI primaria è stata eseguita meno frequentemente nei pazienti con presentazione tardiva dello STEMI rispetto a quelli con presentazione precoce (88% vs. 95.1%; p<0.001). La presentazione tardiva dello STEMI non si correla in modo indipendente con la mortalità, ma si correla in modo indipendente con una strategia che nega una rivascolarizzazione della coronaria “culprit” (no-PCI primaria). Questi sono gli elementi importanti dei risultati dello studio che devono invitare a riflettere. Sebbene nello studio di registro non siano disponibili importanti dettagli, come lo stato clinico dei pazienti con presentazione di STEMI tardivo e non possa comunque essere conclusivo per la mancanza di un gruppo di controllo, i risultati suggeriscono in modo deciso che il comportamento tenuto nella pratica clinica e la conseguente strategia terapeutica scelta, possono influenzare in modo importante e significativo l’outcome clinico nel medio e lungo termine. Altro elemento importante e, in un certo modo, rassicurante è che la “clusterizzazione” della presentazione tardiva è tutta concentrata fra le 12 e le 24h. Lo studio non può fornire altri elementi conoscitivi importanti; la sua conclusione è quindi quella di agire, nei pazienti con STEMI tardivo, anche mediante un approccio “multidisciplinare”, per identificare i pazienti che potrebbero trarre beneficio da una seppur tardiva rivascolarizzazione con PCI primaria. Tale strategia però, per definizione, non può “passare” per tante altre valutazioni diagnostiche, con ulteriori ore o giorni di ritardo; quello che però possiamo ritenere saggio è che, in assenza di reali controindicazioni allo studio invasivo, in coerenza con il principio di una “medicina individualizzata”, e per quanto possibile di precisione, si possa e si debba procedere all’esame diagnostico coronarografico in questo “setting” di pazienti ad alto rischio. Il cardiologo interventista potrà quindi operare una scelta terapeutica, arricchito di altre informazioni, quali l’estensione della malattia coronarica, la pervietà del vaso “culprit”, la presenza di circoli collaterali, la presenza di trombosi, la anticipata difficoltà tecnica della rivascolarizzazione percutanea; tale scelta, dunque, potrà essere personalizzata per il singolo paziente e adeguata al contesto clinico. La letteratura sullo STEMI tardivo, quindi, dopo uno studio randomizzato e diversi studi meccanicistici, si arricchisce di ampi studi contemporanei di registro; le informazioni disponibili sono coerenti nell’indicare che anche lo STEMI con presentazione tardiva può beneficiare, in termini prognostici, di una riperfusione coronarica e che tale strategia non deve essere evitata, se non per reali controindicazioni alla procedura invasiva stessa o anche nei casi in cui il rapporto rischio/beneficio sia veramente sfavorevole. In conclusione, l’interessante lavoro pubblicato invita ad agire nel rispetto delle attuali Linee Guida europee, ma procedendo “con giudizio”, in coerenza con un approccio individualizzato della medicina, la vera e autentica risposta di un agire cosciente, competente, abile, ma anche saggio. Preme comunque ricordare che, ancora oggi, non dobbiamo “abbassare la guardia”, ma dobbiamo trovare ancora forte motivazione per continuare ad educare la popolazione a comunicare immediatamente sintomi sospetti alla Rete di Emergenza 118, al fine di un più precoce trattamento. Ciò rimane attuale anche nel contesto pandemico di COVID-19 che stiamo vivendo. Un ritardo di ore raddoppia la mortalità dei pazienti che arrivano vivi in ospedale, ma soprattutto ancora oggi, aumenta enormemente anche il numero di pazienti che muore prima di arrivare in ospedale.

Bibliografia

Bibliografia
1 Nepper-Christensen L, Lønborg J, Høfsten DE, et al. Benefit from reperfusion with primary percutaneous coronary intervention beyond 12 hours of symptom duration in patients with ST-segment-elevation myocardial infarction. Circ Cardiovasc Interv 2018;11:e006842.
2 Ibanez B, James S, Agewall S, et al. 2017 ESC Guidelines for the management of acute myocardial infarction in patients presenting with ST-segment elevation: The Task Force for the management of acute myocardial infarction in patients presenting with ST-segment elevation of the European Society of Cardiology (ESC). Eur Heart J. 2018 Jan 7;39(2):119-177. doi: 10.1093/eurheartj/ehx393.
3 Nepper-Christensen L, Lønborg J, Høfsten DE, et al. Benefit from reperfusion with primary percutaneous coronary intervention beyond 12 hours of symptom duration in patients with ST-segment-elevation myocardial infarction.Circ Cardiovasc Interv 2018;11:e006842.
4 Ndrepepa G, Kastrati A, Mehilli J, Antoniucci D, Schömig A. Mechanical Reperfusion and Long-term Mortality in Patients With Acute Myocardial Infarction Presenting 12 to 48 Hours From Onset of Symptoms. JAMA 2009;301(5):487-488.

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