Stefano De Servi

La misurazione della riserva coronarica può essere utile in aggiunta alla riserva frazionale di flusso per definire il significato fisiopatologico delle stenosi coronariche di grado intermedio?

Come noto, la Fractional Flow Reserve (FFR) è di grande utilità nel definire il significato fisiopatologico delle stenosi coronariche e l’utilità di un loro trattamento invasivo. Tuttavia, per valori di FFR compresi tra 0.80 e 0.75 (zona grigia di incertezza) esistono dati controversi su una effettiva utilità dell’angioplastica coronarica (PCI) nel migliorare l’outcome dei pazienti. Quando l’FFR presenta valori compresi entro questo intervallo, la misurazione della Riserva coronarica (CFR definita come rapporto tra flusso coronarico in condizioni di iperemia massima diviso per il flusso basale, un indice fisiologico che riflette eventuali limitazioni di flusso della circolazione coronarica incluso il microcircolo) potrebbe offrire un ulteriore elemento di valutazione, il cui effettivo valore prognostico aggiuntivo rimane tuttavia incerto.

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Syndrome di HEYDE: il rischio di sanguinamento gastrointestinale diminuisce dopo intervento di TAVI?

La sindrome di Heyde è caratterizzata dalla concomitanza di stenosi aortica, sindrome di von Willebrand acquisita (per proteolisi dei multimeri del fattore di von Willebrand causata dall’elevato shear stress a livello della valvola stenotica) e angiodisplasie (dilatazioni di capillari arteriosi e venosi nella mucosa gastrointestinale). Tale associazione, che comporta un alto rischio emorragico, è presente sino al 10% dei pazienti con stenosi aortica (anche se tale percentuale potrebbe essere sottostimata per le difficoltà a diagnosticare le angiodisplasie), ma si riduce notevolmente dopo intervento di sostituzione valvolare. Non è nota, invece, l’evoluzione di queste alterazioni dopo intervento di TAVI.

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Acute Kidney Injury (AKI): può una campagna di prevenzione ridurne l’incidenza dopo procedure di diagnostica o interventistica coronarica?

Benché la problematica del verificarsi di AKI, dopo procedure diagnostiche e interventistiche, sia nota da tempo e molta letteratura sia stata prodotta su questo argomento, molti semplici provvedimenti per ridurne l’incidenza (idratazione adeguata, attenzione alla quantità del mezzo di contrasto usato sono disattese nella pratica clinica. Non è noto se un programma basato su interventi educazionali, supporto nelle decisioni cliniche, valutazioni tramite audit e feedback possano tradursi in una riduzione significativa di questa complicanza e in migliori risultati clinici.

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The dawn of a new era of targeted lipid-lowering therapies.

Il trattamento delle dislipidemie sta subendo una rapida evoluzione. Il target terapeutico principale è il colesterolo LDL, ma altre lipoproteine contenenti apo-B possono penetrare l’intima dando origine al processo aterosclerotico. È stato osservato che il rischio cardiovascolare è meglio riflesso dal valore di colesterolo non-HDL o dalla misurazione diretta delle apo-B, piuttosto che dal colesterolo LDL. Terapie basate su anticorpi monoclonali e su “RNA engineering” permettono l’inibizione selettiva di proteine specifiche riducendo drasticamente i livelli di colesterolo LDL nel sangue. Inclisiran è un siRNA (small interfering RNA) coniugato a un residuo terminale N-acetil-galattosaminico che permette al farmaco di legarsi a recettori specifici delle cellule epatiche inibendo il PCSK9. Lo studio ORION-4 sta valutando gli effetti di questo farmaco sulla mortalità e morbilità cardiovascolare. Esso viene somministrato due volte l’anno e determina una riduzione di circa il 50% del colesterolo LDL e una diminuzione significativa della lipoproteina(a) [Lp(a)], un tipo di LDL nella quale una apoproteina (apoA) è legata ad apoB e correlata a elevato rischio cardiovascolare e allo sviluppo di valvulopatia aortica calcifica

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Hemodynamic effects of heart rate lowering in patients admitted for acute heart failure: the REDRATE-HF study (reduction of heart rate in heart failure).

Nei pazienti ricoverati per scompenso cardiaco acuto, gli effetti clinici di una strategia di riduzione della frequenza cardiaca sono oggetto di controversia. Nello studio multicentrico Reduction of heart Rate in Heart Failure (RedRate-HF) 20 pazienti (età media 67 ± 15 anni, BNP all’ingresso 1.348 ± 1.198 pg/ml) sono stati trattati con terapia medica ottimale associata a ivabradina 5 mg bid a 48–72 h dall’ingresso. I pazienti sono stati valutati con la tecnica della bioimpedenza a 24, 48, 72 h dall’assunzione del farmaco e alla dimissione. Il farmaco è stato ben tollerato e ha indotto una aumento dell’intervallo RR (da 747 ± 69 ms basale a 948 ± 121 ms alla dimissione, p<0.0001). La gittata sistolica e’ aumentata da 73 ± 22 a 84 ± 19 ml alla dimissione (p=0.03 ) con una riduzione del lavoro cardiaco (da 3.6 ± 1.2 vs. 3.1 ± 1.1 kg/m2 alla dimissione, p=0.04). In conclusione, una strategia di riduzione della frequenza cardiaca in pazienti ricoverati per scompenso acuto, in aggiunta alla terapia medica ottimale, si accompagna a un aumento della gittata sistolica e a una riduzione del lavoro cardiaco.

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TAVI o cardiochirurgia per la stenosi aortica severa a rischio operatorio moderatamente elevato?

L’intervento di TAVI, inizialmente effettuato in pazienti con alto rischio per la chirurgia valvolare (SAVR) o con età molto avanzata, si è successivamente esteso a categorie di pazienti con minor rischio operatorio, grazie al miglioramento tecnologico, in particolare dei materiali utilizzati e alla maggiore esperienza degli operatori. Le Linee Guida ESC suggeriscono di considerare, nella scelta tra le due procedure, una serie di variabili cliniche (tra cui l’età e il rischio chirurgico), anatomiche e procedurali (tra cui il “mismatch” paziente/protesi e la possibilità di effettuare la TAVI per accesso femorale) e la eventuale necessità di correggere chirurgicamente altre patologie valvolari o coronariche concomitanti.

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Interventi di “TAVI redo”: ha importanza il tipo di protesi valvolare impiantata sul successo del nuovo intervento e sulla prognosi?

La TAVI, preferibilmente effettuata in pazienti anziani con stenosi aortica severa è, tuttavia, sempre più eseguita in pazienti giovani con lunga attesa di vita. Si pone quindi il problema di verificare l’efficacia delle procedure “redo” quando esse si rendono necessarie per malfunzionamento della protesi originale (procedure TAV-in-TAV) e di affrontare le problematiche connesse al tipo di valvola inizialmente impiantata (“ballon expandable” –b- o “selfexpandable”-s-) e a quella da utilizzare per il reimpianto.

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Quale tecnica deve guidare la PCI: IVUS o FFR? lo studio FLAVOUR

Le Linee Guida ESC sulla rivascolarizzazione miocardica raccomandano l’esecuzione di FFR per valutare il significato fisiopatologico di una lesione coronarica di grado intermedio (classe I, livello di evidenza A) sulla base dello studio FAME, pubblicato nel 2009, che ha dimostrato come la PCI guidata da FFR si accompagni a un minor numero di eventi cardiovascolari (morte, infarto, rivascolarizzazioni) a 1 anno, rispetto a una PCI guidata dall’angiografia. Le stesse Linee Guida riservano, per l’uso dell’IVUS, durante PCI una raccomandazione di classe IIa per la valutazione della severità delle stenosi sul tronco comune della coronaria sinistra. Non ci sono studi che abbiano confrontato l’outcome dei pazienti sottoposti a PCI con guida FFR, rispetto alle procedure interventistiche eseguite con guida IVUS (una tecnica che fornisce informazioni di tipo anatomico più dettagliate e precise di quelle offerte dall’angiografia). Questo gap conoscitivo è colmato dallo studio FLAVOUR (Fractional Flow Reserve and Intravascular Ultrasound-Guided Intervention Strategy for Clinical Outcomes in Patients with Intermediate Stenosis) eseguito in centri della Corea del Sud e della Cina.

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Tailoring oral antiplatelet therapy in acute coronary syndromes: from guidelines to clinical practice. Review.

È un concetto ormai consolidato che la composizione e la durata della doppia terapia antiaggregante (DAPT), nei pazienti con sindrome coronarica acuta trattata con impianto di stent, si debba basare su una valutazione del rischio ischemico ed emorragico del singolo paziente. Dati recenti mostrano che, in presenza di un rischio di bleeding elevato, una DAPT abbreviata (1-3 mesi) seguita da singola terapia antipiastrinica riduca i sanguinamenti senza aumentare gli eventi trombotici rispetto al trattamento “standard” che prevede 12 mesi di DAPT. Tuttavia, la frequente coesistenza di variabili che aumentano sia il rischio ischemico che quello emorragico, come avviene soprattutto nei pazienti anziani, può generare perplessità al clinico nella scelta del trattamento più appropriato. In questi casi, le strategie di “de-escalation” (sia guidate che non guidate dai test farmacodinamici o genetici) rappresentano una alternativa alla DAPT “standard”, garantendo un ottimo equilibrio tra sicurezza ed efficacia. Benchè la scelta sulla composizione e durata della DAPT debba essere effettuata dal clinico su base individuale, l’analisi della recente letteratura permette di scegliere tra le varie opzioni disponibili, una volta accertato il profilo di rischio ischemico ed emorragico del singolo paziente.

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Effetti dell’angioplastica coronarica nei pazienti con disfunzione ventricolare sinistra su base ischemica: lo studio revived.

I pazienti con disfunzione ventricolare sinistra, su base ischemica, traggono vantaggio dall’intervento di bypass aortocoronarico: lo studio STICH ha mostrato infatti una riduzione della mortalità rispetto alla terapia medica ottimale, anche se questo beneficio si è manifestato quando il follow-up è stato esteso a 10 anni. Non sappiamo se un analogo vantaggio in termini prognostici si possa ottenere con un intervento di PCI. Non è chiaro, poi, se la rivascolarizzazione possa ripristinare una contrattilità adeguata di aree ipoperfuse e disfunzionanti ma vitali, condizione nota come “miocardio ibernato”.

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